giovedì 16 gennaio 2020

Investire con urgenza in edilizia sociale



L’improvvisa pandemia da Covid 19 ha messo in evidenza alcuni discrasie di questo nostro paese, tra le quali quelle che riguardano i rapporti tra poteri dello Stato e poteri delle Regioni.  Sono questioni serie che la politica dovrà sanare rapidamente per migliorare l’efficienza pubblica nella emergenza e anche nella gestione ordinaria, ma che, mi rendo conto, vanno politicamente in senso contrario sia alle attuali autonomie sia al loro preoccupante ampliamento.
L’edilizia pubblica è stata una delle vittime di queste contradizioni e separazioni di competenze, diventate ad un certo punto negli anni novanta solo scelte regionali, senza controllo e al di fuori di ogni possibile piano nazionale di sostegno che non fossero i bonus edilizi per le famiglie in difficoltà.   
Il picco di tale de-responsabilizzazione e inesistenza di regole è stata la distribuzione tra Stato e Regioni dei residui fondi Gescal, un tesoretto di circa 11 miliardi di euro, attuato in due anni di trattative senza uno straccio di impegno cogente finalizzato ad utilizzare quei soldi, trattenuti ai lavoratori, per costruire o riqualificare case pubbliche. Ogni Regione si è comportata secondo i suoi interessi e poche, tra cui la Lombardia, l’Emilia Romagna, hanno investito in edilizia pubblica.
La dismissione dello Stato è derivata da alcune valutazioni e deduzioni sbagliate. L'affidamento alle Regioni della edilizia pubblica è  stato un atteso provvedimento politico purtroppo privo di una valutazione sul tempo lungo delle conseguenze sociali. Basti pensare alle ripercussioni economiche negative sulla ricerca di abitazioni a buon mercato accadute in seguito alla crisi finanziaria del 2008 che ci aprono uno scenario attuale assai grave. L’annullamento della costruzione di case pubbliche attuato 30 anni fa non ha tenuto in considerazione le differenze territoriali tra le due Italie. Infatti la valutazione che le case pubbliche non fossero più una necessità popolare perché quasi il 70 % delle famiglie italiane possedeva una casa era viziata dal fatto che quel dato medio oscurava il dato del solo Sud che si aggirava invece al 50% e quindi ancora bisognoso di alloggi sociali.  
L’altro elemento che ha inciso negativamente è stato l’impoverimento del ceto medio a causa della crisi del 2008 che ha generato grandi difficoltà nel trovare case a buon mercato da affittare. La sperimentazione legislativa partita nel 2009 di far fare case private a prezzo calmierato alle Fondazioni Bancarie insieme con altri Enti privati, ha prodotto in dieci anni circa 6000 alloggi di Social Housing dei 20.000 inizialmente previsti: troppo poco per un programma nazionale che va assolutamente ora rimodulato e ampliato.  Andrebbero riviste le regole del Social Housing, maggiore velocità di realizzazione, meno burocrazia, maggior stabilità nell’iter progetto/realizzazione/gestione e migliore redditività; ma soprattutto minor costo dell’affitto che solo un nuovo sostegno pubblico può garantire. Bisogna guardare alle esperienze significative di Social Housing in Italia, tutte localizzate al Nord, in comuni come Milano, per dare vita ad una sinergia pubblico-privata che superi le difficoltà di un Sud che non riesce a stare al passo. (A Napoli il Banco di Napoli aveva provato a creare una Fondazione, ma non ebbe successo operativo).  
L’indispensabile aumento della realizzazione di alloggi dipende dalla necessaria attivazione di accordi pubblico-privati, all’insegna di una partecipazione attiva tra Comuni, Regioni e Fondazioni bancarie. Una politica di questo tipo è certamente fattibile nell’ immediato e potrebbe avviare un processo positivo, ma non miracoloso, di una nuova stagione di edilizia privata sociale garantita in parte dallo Stato, ricordando che per avere un alloggio pronto all’uso ci vogliono perlomeno 4/5 anni di tempo. Non penso che questa politica debba essere legata solo ad un approccio emergenziale. Credo che invece possa diventare, dopo verifiche, un programma di lunga durata che può ridimensionare di molto la necessità dello Stato di costruire e gestire in proprio le case pubbliche, indirizzando i suoi interventi assistenziali, aperti a varie modalità, verso famiglie disagiate e bisognose, non in grado ad accedere ad una casa di Social Housing.     

Nessun commento:

Posta un commento