martedì 2 aprile 2013

Lungomare e Plebiscito una questione di vuoti


Da alcuni giorni, da quando le auto hanno ricominciato a percorre via Caracciolo mi si riaffaccia  la domanda su quale  destino sia riservato al nostro lungomare.
Mentre si rivede il mare dall’auto insieme all’invasiva scogliera alla rotonda Diaz con pochi joggers e ciclisti che usano i marciapiedi e la pista, non sembrano passati i quasi due anni dal giorno del “sequestro” o della “liberazione”, secondo le opinioni, del lungomare: tanto è calzante, piacevole e tradizionale percorrere via Caracciolo con l’auto fosse anche solo per poco tempo.
Ma presto, almeno cosi ci si augura, riparati i danni agli edifici della riviera, rimessa in moto la macchina della Metropolitana, per  completare quella  linea 6 che ci siamo lussuosamente concessi, passata anche la seconda tappa della Coppa America, con la sua rutilante invasione mediatica,  chissà  se  via Caracciolo tornerà come prima, prigioniera di una ideologia che non si fa azione ma solo interdizione.
Il Comune, in quasi due anni, non è riuscito a proporre nulla, non dico un progetto ma nemmeno un’idea per la trasformazione di questo splendido luogo. Il suo compito si è limitato a quello di togliere le auto, ritenendo che quest’azione avrebbe magicamente dato nuovo senso al lungomare e filo da tessere ai  sostenitori ambientalisti.
Ma un boulevard alberato come poteva acquistare senso se gli si toglieva l’anima che lo teneva in vita?
Eliminando proprio quelle auto che ne sono la sua ragion d’essere, gli si è inflitta una seria menomazione: lo si è  svuotato, devitalizzato e in fin dei conti privato  anche di parte della sua bellezza.  Togliendo la funzione per cui era nato, l’essere parte di un lungomare da Mergellina a Castelnuovo,  quel tratto sequestrato è rimasto solo forma vuota, disponibile a tutti gli usi come una specie di  terra di periferia,  ogni tanto animata e vitalizzata da eventi con lunapark ,chioschi e feste.  
Ma in questo caso il tentativo sperimentale di  sostituzione di funzioni ,  da boulevard a spazio pedonale,  non poteva dare gli esisti sperati: un boulevard non si presta alla semplice pedonalizzazione  e non è una questione di asfalto ma di dimensione e di funzione. Un boulevard collega parti urbane, è un continuum, e sequestrare una sua parte, interromperlo brutalmente, modifica l’intero percorso stradale.
Basta provare a guardare le foto pubblicitarie delle agenzie turistiche che propagandano su internet il lungomare per rendersi conto che quelle immagini, per un napoletano, sono fuori dell’ordinario, sembrano scatti fatti dopo uno sciopero generale o dopo una qualche catastrofe: strade incomprensibilmente vuote, poche persone, un’atmosfera di attesa incombente.
Diverso discorso va fatto per via Partenope perché la strada in questo caso è definita formalmente e funzionalmente dalla palazzata a mare e non ci sono questioni di traffico veicolare di attraversamento come a via Caracciolo. L’intervento qui si presenta più facile e probabilmente un progetto di restyling è sufficiente a ridare unitarietà all’insieme una volta eliminato o ridotto il transito auto.
Per nulla paragonabile è la riuscita pedonalizzazione di piazza Plebiscito. La piazza reale è, infatti, uno spazio creato per accogliere, dove il significato è proprio nel vuoto; l’opposto del lungomare dove il vuoto creatosi è solo una mancanza, un’assenza.  Piazza Plebiscito è, infatti, uno spazio che gioisce della presenza della gente e degli eventi.  Lì, infatti, l’auto era abusiva, cosi come lo erano le carrozze a cavalli. Tolti gli elementi invasivi e abusivi, la piazza è tornata a mostrare l’alta qualità delle sue architetture e che danno forma allo spazio.
Tolte invece le auto da via Caracciolo, rimangono il golfo, la villa comunale, il mare e un’insostenibile assenza che era il trait d’union tra queste rinomate qualità.
Qui c’è bisogno di un’idea progettuale forte che sappia interpretare il luogo sostituendo il boulevard con qualcos’altro: riguadagnare il mare, aumentare il verde, dare unità alla villa comunale, attrezzare passeggiate, realizzare spazi per eventi e aree sportive.  
Credo che bisogna pensare alto  anche se scarseggiano i finanziamenti, non si può sostituire la forza ottocentesca di un boulevard alberato ,  con micro proposte come quella fatta dall’assessore De Falco e apparsa su questo giornale  ( 16.3.2013) : togliere l’asfalto e la recinzione alla villa.
Inoltre, se si considera che tra qualche anno, almeno si spera, si aprirà la stazione  Arco Mirelli che convoglierà nella villa e sul lungomare grandi quantità di cittadini che utilizzeranno questo unico affaccio sul mare come un grande polo di intrattenimento , si capisce meglio l’importanza e l’urgenza di un progetto ampio e non di un restyling.
 Accanto poi a una visione che giustamente vuole esaltare le occasioni d’intrattenimento di una rinnovata centralità urbana di quest’area, va affrontato il problema del traffico est-ovest.  L’esperienza già maturata nel lungo tempo della chiusura totale al traffico di via Caracciolo ha dimostrato che la riviera di Chiaia non è sufficiente a smaltire il flusso veicolare nelle ore di punta della giornata.  C’è necessità quindi di misurarsi anche con il tema della mobilità su ruote e non semplicemente o autarchicamente ignorarla come se lo spazio pubblico di cui parliamo non fosse un bene comune speciale in equilibrio nel sistema città.
Il tema del miglioramento della viabilità senza fare danno alla villa e al lungomare è un tema già studiato in passato e ancora vivo. Nel prg del 1970 era stato previsto un sottopasso lungo via Caracciolo, negli anni  ottanta e novanta sono stati prodotti studi per tunnel sotterranei più lunghi e addirittura di tunnel sottomarini che non recavano danno alcuno al sistema dei luoghi.
Il tema era ed è quindi evidente alla cultura urbanistica della città e, nonostante le implicazioni, oggi più che mai chiare, dovute al delicato regime idrogeologico dei terreni dell’area, è indispensabile
porre mano  ad un progetto d’area,  ad un Piano urbanistico attuativo che,  considerando  tutte le opzioni in campo, programmi  gli interventi nel tempo  escludendo  soluzioni temporanee che danneggiano la maggioranza dei cittadini . Non servono archistars o mega studi internazionali  per proporre progetti fattibili,  serve una sinergia tra Comune e città che innanzitutto  si rafforzi con l’apertura al confronto e alla discussione . Conoscere le proposte e discuterle è proprio ciò che distingue un comportamento democratico da uno dirigistico e nel caso di via Caracciolo e della villa comunale  la discussione non si può esaurire dentro il Comune cosi come i progetti  di trasformazione non possono essere fatti in casa . Servono confronti pubblici tra proposte di esperti, servono concorsi e prima di tutto concorsi di idee. La trasformazione di questo luogo  pubblico esige l’approvazione dei cittadini, essa va resa pubblica, discussa e approvata, non ci sono strade traverse.
A Parma, i cittadini hanno fatto cambiare il progetto in cantiere per piazza della Pilotta, nonostante l’architetto Mario Botta avesse vinto il concorso internazionale. Piccoli esempi di partecipazione attiva sulla trasformazione dei beni comuni di cui abbiamo grande bisogno.

Repubblica Napoli  28.3.2013 (pubblicazione parziale)