Da alcuni giorni, da quando le auto hanno ricominciato a percorre via
Caracciolo mi si riaffaccia la domanda
su quale destino sia riservato al nostro
lungomare.
Mentre si rivede il mare dall’auto insieme all’invasiva scogliera alla rotonda
Diaz con pochi joggers e ciclisti che usano i marciapiedi e la pista, non
sembrano passati i quasi due anni dal giorno del “sequestro” o della
“liberazione”, secondo le opinioni, del lungomare: tanto è calzante, piacevole e
tradizionale percorrere via Caracciolo con l’auto fosse anche solo per poco
tempo.
Ma presto, almeno cosi ci si augura, riparati i danni agli edifici della
riviera, rimessa in moto la macchina della Metropolitana, per completare quella linea 6 che ci siamo lussuosamente concessi, passata
anche la seconda tappa della Coppa America, con la sua rutilante invasione
mediatica, chissà se via
Caracciolo tornerà come prima, prigioniera di una ideologia che non si fa
azione ma solo interdizione.
Il Comune, in quasi due anni, non è riuscito a proporre nulla, non dico un
progetto ma nemmeno un’idea per la trasformazione di questo splendido luogo. Il
suo compito si è limitato a quello di togliere le auto, ritenendo che quest’azione
avrebbe magicamente dato nuovo senso al lungomare e filo da tessere ai sostenitori ambientalisti.
Ma un boulevard alberato come poteva acquistare senso se gli si toglieva
l’anima che lo teneva in vita?
Eliminando proprio quelle auto che ne sono la sua ragion d’essere, gli si è
inflitta una seria menomazione: lo si è
svuotato, devitalizzato e in fin dei conti privato anche di parte della sua bellezza. Togliendo la funzione per cui era nato,
l’essere parte di un lungomare da Mergellina a Castelnuovo, quel tratto sequestrato è rimasto solo forma vuota,
disponibile a tutti gli usi come una specie di
terra di periferia, ogni tanto
animata e vitalizzata da eventi con lunapark ,chioschi e feste.
Ma in questo caso il tentativo sperimentale di sostituzione di funzioni , da boulevard a spazio pedonale, non poteva dare gli esisti sperati: un
boulevard non si presta alla semplice pedonalizzazione e non è una questione di asfalto ma di dimensione
e di funzione. Un boulevard collega parti urbane, è un continuum, e sequestrare
una sua parte, interromperlo brutalmente, modifica l’intero percorso stradale.
Basta provare a guardare le foto pubblicitarie delle agenzie turistiche che
propagandano su internet il lungomare per rendersi conto che quelle immagini,
per un napoletano, sono fuori dell’ordinario, sembrano scatti fatti dopo uno
sciopero generale o dopo una qualche catastrofe: strade incomprensibilmente
vuote, poche persone, un’atmosfera di attesa incombente.
Diverso discorso va fatto per via Partenope perché la strada in questo caso
è definita formalmente e funzionalmente dalla palazzata a mare e non ci sono
questioni di traffico veicolare di attraversamento come a via Caracciolo.
L’intervento qui si presenta più facile e probabilmente un progetto di
restyling è sufficiente a ridare unitarietà all’insieme una volta eliminato o
ridotto il transito auto.
Per nulla paragonabile è la riuscita pedonalizzazione di piazza Plebiscito.
La piazza reale è, infatti, uno spazio creato per accogliere, dove il
significato è proprio nel vuoto; l’opposto del lungomare dove il vuoto creatosi
è solo una mancanza, un’assenza. Piazza
Plebiscito è, infatti, uno spazio che gioisce della presenza della gente e
degli eventi. Lì, infatti, l’auto era
abusiva, cosi come lo erano le carrozze a cavalli. Tolti gli elementi invasivi
e abusivi, la piazza è tornata a mostrare l’alta qualità delle sue architetture
e che danno forma allo spazio.
Tolte invece le auto da via Caracciolo, rimangono il golfo, la villa
comunale, il mare e un’insostenibile assenza che era il trait d’union tra
queste rinomate qualità.
Qui c’è bisogno di un’idea progettuale forte che sappia interpretare il
luogo sostituendo il boulevard con qualcos’altro: riguadagnare il mare,
aumentare il verde, dare unità alla villa comunale, attrezzare passeggiate,
realizzare spazi per eventi e aree sportive.
Credo che bisogna pensare alto anche
se scarseggiano i finanziamenti, non si può sostituire la forza ottocentesca di
un boulevard alberato , con micro proposte
come quella fatta dall’assessore De Falco e apparsa su questo giornale ( 16.3.2013) : togliere l’asfalto e la
recinzione alla villa.
Inoltre, se si considera che tra qualche anno, almeno si spera, si aprirà la
stazione Arco Mirelli che convoglierà
nella villa e sul lungomare grandi quantità di cittadini che utilizzeranno
questo unico affaccio sul mare come un grande polo di intrattenimento , si
capisce meglio l’importanza e l’urgenza di un progetto ampio e non di un
restyling.
Accanto poi a una visione che giustamente
vuole esaltare le occasioni d’intrattenimento di una rinnovata centralità urbana
di quest’area, va affrontato il problema del traffico est-ovest. L’esperienza già maturata nel lungo tempo della
chiusura totale al traffico di via Caracciolo ha dimostrato che la riviera di Chiaia
non è sufficiente a smaltire il flusso veicolare nelle ore di punta della giornata.
C’è necessità quindi di misurarsi anche
con il tema della mobilità su ruote e non semplicemente o autarchicamente
ignorarla come se lo spazio pubblico di cui parliamo non fosse un bene comune speciale
in equilibrio nel sistema città.
Il tema del miglioramento della viabilità senza fare danno alla villa e al
lungomare è un tema già studiato in passato e ancora vivo. Nel prg del 1970 era
stato previsto un sottopasso lungo via Caracciolo, negli anni ottanta e novanta sono stati prodotti studi
per tunnel sotterranei più lunghi e addirittura di tunnel sottomarini che non
recavano danno alcuno al sistema dei luoghi.
Il tema era ed è quindi evidente alla cultura urbanistica della città e,
nonostante le implicazioni, oggi più che mai chiare, dovute al delicato regime
idrogeologico dei terreni dell’area, è indispensabile
porre mano ad un progetto d’area, ad un Piano urbanistico attuativo che, considerando
tutte le opzioni in campo, programmi
gli interventi nel tempo
escludendo soluzioni temporanee
che danneggiano la maggioranza dei cittadini . Non servono archistars o mega
studi internazionali per proporre
progetti fattibili, serve una sinergia
tra Comune e città che innanzitutto si
rafforzi con l’apertura al confronto e alla discussione . Conoscere le proposte
e discuterle è proprio ciò che distingue un comportamento democratico da uno
dirigistico e nel caso di via Caracciolo e della villa comunale la discussione non si può esaurire dentro il
Comune cosi come i progetti di trasformazione
non possono essere fatti in casa . Servono confronti pubblici tra proposte di
esperti, servono concorsi e prima di tutto concorsi di idee. La trasformazione
di questo luogo pubblico esige
l’approvazione dei cittadini, essa va resa pubblica, discussa e approvata, non
ci sono strade traverse.
A Parma, i cittadini hanno fatto cambiare il progetto in cantiere per piazza
della Pilotta, nonostante l’architetto Mario Botta avesse vinto il concorso
internazionale. Piccoli esempi di partecipazione attiva sulla trasformazione
dei beni comuni di cui abbiamo grande bisogno.
Repubblica Napoli 28.3.2013 (pubblicazione parziale)