giovedì 1 marzo 2012

Ospedale del mare uno scandalo voluto

Le recenti scandalose vicende negli appalti pubblici ripropongono l’annosa  questione che si sperava superata dopo tangentopoli:  come è possibile che non ci sia stato rimedio alle cause di  inefficienza e malaffare che gravano ancora  per molta parte sulle opere pubbliche ?
La risposta più semplice è che non si vuole farlo, non si vuole modernizzare il paese instaurando controlli efficienti e sanzioni, trasparenza e responsabilità. Capire come mai un ospedale pubblico da 200 milioni di euro appaltato nel 2004 con l’impegno a consegnare l’opera in quattro anni, si trovi, dopo otto anni  incompleto e con costi più che raddoppiati non è difficile. È la stessa storia accaduta migliaia di volte in passato: approssimazione e incompetenza,  deroghe e varianti, in una sinergia di sprechi tra pubblico e privato che allunga i tempi e aumenta i costi. Lo scandalo dell’Ospedale del mare a Ponticelli non è certo l’ultimo della catena, anche il recente Auditorium di Isernia che dai 5 milioni iniziali arriverà a costarne  55  non è meno scandaloso .  Questi scandali, com’è ovvio, sollevano moltissimi interrogativi sulle collusioni e le inefficienze, vorrei però ragionare brevemente su tre aspetti che mi sembrano decisivi: la scelta, la gestione e la realizzazione delle opere pubbliche .
La scelta. E’ evidente che spetta alla politica scegliere tra le tante opzioni sul tavolo quelle che si ritengono più strategiche o urgenti per l’interesse collettivo e spetta anche alla politica assumersene la responsabilità se questo fine non è raggiunto. Purtroppo quest’ultimo corollario non funziona da noi.
All’indomani di Tangentopoli fu emanata la legge Merloni che aveva alcuni meriti: evitare le varianti e ridurre le deroghe, separare progettista e costruttore,
 mettere al centro la  unitarietà del  progetto e la responsabilità del progettista  ( selezionato purtroppo  in base al fatturato e non al merito).
Il governo Berlusconi ha via via smantellato quel piccolo rigore iniziale consentendo deroghe, varianti al progetto esecutivo, ampia trattativa privata, offerte anomale, e svilendo il ruolo del progettista a vantaggio delle Imprese. Si sono cosi venute a sommare, anche a causa della normativa europea, troppe norme e leggi che hanno ampliato e non diminuito i poteri arbitrari delle stazioni appaltanti, consentendo addirittura la rinegoziazione successiva dell’appalto, vero cavallo di troia dei lavori pubblici.
Si racconta che tra gli ambiziosi interventi sulla città dell’ultimo sindaco di Parma, la costruzione di un edificio/ponte sul torrente la Parma abbia fatto esclamare, a uno sbigottito funzionario di Bruxelles: molto bello il progetto, peccato che manca il fiume! Il sindaco si è dimesso ma i parmigiani dovranno ripianare i conti in rosso delle tante follie del sindaco.
Tornando in  casa nostra non appare certo una scelta per l’interesse pubblico quella di costruire a Bagnoli, al di sotto di un auditorium una mega SPA con saune e piscine e farla gestire ai privati con un canone che, certo,  non ripaga l’investimento milionario. Chissà poi perché il Comune si fa concorrenza da solo possedendo,   nelle immediate vicinanze della nuova SPA, le storiche e belle terme di Agnano da poco rinnovate.
Non sarebbe stato meglio se quei soldi fossero stati spesi per realizzare  quel  parco tanto atteso dai cittadini e  la società Bagnoli Futura,  vendendo i suoli  valorizzati che possiede,  avesse anticipato i tempi realizzativi delle opere pubbliche per cui è nata? Sono domande  legittime credo, che ragionano su scelte che sembrano avere poco che fare con l’interesse pubblico. Sorprende inoltre anche la poca sensibilità a questi temi di quei movimenti di partecipazione democratica che si mobilitano giustamente per la non privatizzazione dei beni comuni  ma che sono poi come rassegnati al malfunzionamento dei beni pubblici.
La gestione. Sta prevalendo uno svilimento dei beni pubblici a vantaggio di una commercializzazione mai avvenuta in passato che crea situazioni paradossali .
Ci sono casi di edifici pubblici venduti a privati e riaffittati allo Stato a canoni elevati, oppure casi di opere pubbliche costruite con soldi pubblici  affittati  a privati a basso canone. La recente pratica della commercializzazione dei beni pubblici, dovuta alle “cartolarizzazioni tremontiane “, è  molto invasiva e ha cercato di allargarsi anche ai beni comuni (acqua, coste, reti, ecc) alimentata da una politica ventennale  di  delegittimazione e negatività  verso   tutto ciò che è pubblico o che  rappresenta  lo stato.
La realizzazione.  Due i sistemi più usati per opere importanti  : il project financing e l’appalto integrato.
 Il PF, chiamando ad investire nell’opera pubblica anche soldi  privati sembrava lo strumento più idoneo a rendere efficiente l’appalto;  esso infatti richiede una negoziazione tra pubblico e privato  ed esclude l’aggiudicazione con offerta al massimo ribasso. Nonostante questi vantaggi, il rapporto tra costi e benefici di questo sistema non è omogeneo in Italia;  esso dipende molto, infatti, dalla forza e dalla serietà delle amministrazioni pubbliche appaltanti perché altrimenti è facile che la negoziazione degeneri in collusione come dimostrano gli scandali dell’area di Castello a Firenze e la vicenda dell’Ospedale del mare.
L’appalto integrato invece prevede la dannosa norma dell’offerta al massimo ribasso. Quando le imprese vincono appalti con ribassi fuori mercato e parcelle professionali irrisorie, decisi da commissari di gara che spessissimo non sono qualificati, è chiaro a tutti che nel corso del cantiere succederanno cose tali che si allungheranno i tempi, aumenteranno i costi , sarà ridotta la qualità del progetto e della costruzione. Giova agli sprechi e al malaffare la mancanza sia di una seria vigilanza sugli appalti sia di un valido sistema di accreditamento delle Imprese. Gli organi esistenti esercitano per lo più un controllo formale e non sostanziale e, soprattutto, manca una banca dati nazionale che raccolga e compari elementi decisivi come contratti, costi, tempi e qualità dei risultati. Una siffatta banca dati che monitorizzi i cantieri e che fosse in rete consentirebbe grandi miglioramenti degli appalti pubblici e accrediterebbe le Imprese con utili “pagelle”; un po’ come fanno le agenzie di rating con le banche stabilendo  per ciascuna  il premio di rischio.  
In un periodo di riduzione dei consumi e dei redditi anche il solo sprecare fondi pubblici negli appalti è oggi di una gravità insopportabile che richiede interventi correttivi urgenti, da parte governativa, delle norme degli appalti pubblici.  
(Repubblica Na , 29.2.2012)