domenica 26 dicembre 2010

Gricignano park



Gricignano Park
Più che andare oltre la città vorrei tornare dentro di essa e capire come trasformarne le parti peggiori soprattutto nella disgraziata periferia. Non era inevitabile rompere la città. Più che le teorie moderne degli anni trenta responsabili di modelli urbanistici in fuga dalla città, è stata la rottura degli anni settanta in Italia, a partire dalle 167, a distruggere definitivamente il nostro tradizionale equilibrio urbano. La scommessa oggi, come dice Rogers non dipende più dal modo in cui sono fatti gli edifici, una versatilità tecnologica è ampiamente disponibile per i progettisti, ma dipende dalla loro capacità di costruire un ambiente urbano vivibile. E’ una questione prima culturale e poi politica perché la città è soprattutto un dominio pubblico.
Gricignano park è un progetto teorico di zolla residenziale in espansione urbana.

Nell’ottica di un’auspicabile dimensione metropolitana della città Napoli si è studiato un nuovo polo residenziale nelle campagne intorno al paese di Gricignano d’Aversa ricche di grandi superfici coltivate e di un attivo collegamento ferroviario che la unisce con Napoli in 30 minuti. Tale collegamento ha stimolato la recente nascita di una cittadella militare Nato, traslocata da Bagnoli.
In vista di rintracciare potenziali aree fuori i confini della città, abbiamo studiato, evitando il modello della città di fondazione un’espansione che potesse avvantaggiarsi della struttura urbana di Gricignano (10.000 abitanti) e nel contempo costituire una potenzialità di vita per i napoletani.
L’insediamento rispetta il tracciamento di Gricignano e la centuratio dell’Ager campanus. La zolla residenziale occupa un quadrante della centuratio agricola (720x720 mt.) ad oriente del paese verso Succivo.
L’impianto della zolla, che risente della rigidità del modello, estende tre assi come decumani (est-ovest) e suddivide attraverso nuovi cardi la centuria in strisce pari a 1/8 (90x360 mt.). I nuovi decumani sono trattati come viali alberati e strade commerciali mentre i cardi restano vie residenziali. Le strisce misurano l’intervento e dal loro accoppiamento o destinazione sono ricavate tutte le funzioni urbane: alcune sono pubbliche e trattate interamente a verde e contengono attrezzature scolastiche e servizi pubblici, altre sono accoppiate a due formano gli isolati. Questi si caratterizzano con quattro lotti attestati intorno ad un parco centrale con servizi alla residenza. I lotti residenziali contengono circa 90 alloggi con parcheggi in superficie ed interrati mentre le testate sui viali hanno piani terra commerciali.
La densità abitativa è di circa 400 ab/ha, con edifici da tre a cinque piani, cui corrisponde una densità territoriale di circa 200 ab/ha. La morfologia dell’edificazione è libera e composita, lo studio ha approfondito alcuni riferimenti sull’impianto come il quartiere Lafayette park a Detroit di Mies e Hilberseimer, sulla varietà tipologica e di paesaggio come quelli sviluppati da Bakema e Van den Broeck nei polder olandesi; approfondito tipologie a grande e piccola corte come la vicina siedlung Alfa Romeo a Pomigliano e l’antica domus elementare.

pubblicato su "Community/Architecture", a cura di E.Prandi, FAE, Parma, 2010

venerdì 24 dicembre 2010

Formazione post-laurea: tirocini e stage

pubblicato su Atenapoli , 15.10.2010 
di Sergio Stenti

Mai  come oggi  la formazione post- laurea ha interessato cosi tanti laureandi e laureati;  oltre il 50% frequenta tirocini o stage  dentro o fuori l’università, mentre vengono sempre più  trascurati masters e dottorati: questo in estrema  sintesi il quadro che emerge dall’inchiesta Alma Laurea 2010 di cui parleremo meglio in seguito.
E’ evidente che da un lato il valore reale della laurea si è ridotto notevolmente e poco serve per entrare nel mondo del lavoro, dall’altro, il mercato ha innalzato le sue richieste e chiede specializzazioni  e professionalità che  la laurea non  riesce ad offrire: insomma una laurea che si dequalifica e un mondo del lavoro poco disposto a  investire in tempo e soldi per la formazione dei suoi dirigenti e tecnici.  
Conferme  arrivano da più parti. In una recente intervista giornalistica diversi
 “ cercatori di cervelli” per conto di grandi aziende di livello europeo, raccontavano come essi non ritenessero più come importante il voto di laurea o il regolare corso degli studi ma soprattutto cercassero giovani laureati con  frequenza di stage in azienda e formazione pluri-diretta anche fuori il campo specifico dei loro studi universitari.
In questo quadro che  statistiche e autorevoli opinioni  confermano cosi come le frequenti  disillusioni pubbliche  che molti giovani affidano ai media,  va aggiunto  che l’università sembra molto più preoccupata di se stessa  come struttura che della validità della formazione che offre e della sorte dei  suoi laureati.
L’università appare schiacciata  come non mai da tensioni opposte tese da una parte ad una sua re-interpretazione  quale azienda speciale di ricerca e formazione di eccellenza e dall’altra quale scuola di massa con profili soprattutto didattici. Ridimensionata da  significative, anche se non drastiche,  riduzioni di soldi pubblici e di docenti, essa è  intrappolata da logiche rivendicative, da lobbies professorali,  da impermeabilità a valutazioni esterne ad essa intorno ai  metodi di promozione dei suoi dirigenti (lo sono tutti i professori) e dei risultati conseguiti nel mondo del lavoro, delle professioni e della ricerca. Una risposta, già in corso in alcune realtà del nord est,  è la creazione di poli universitari  con  enti pubblici territoriali,  aziende e mondo bancario. Una specie di uscita dall’ambito pubblico verso un ambito pubblico-privato teso a superare la riduzione dei finanziamenti, attrarre studenti, mettersi in concorrenza con altre università  in una prospettiva federalistico – territoriale che probabilmente lascerà al palo le università “ tutte pubbliche”.
Appare quindi molto sfasato l’attuale dibattito sui modi del  rinnovo della docenza e della governance dell’università  pubblica che  non sarà  sufficiente ad arrestare l’attuale degrado del valore della laurea dimostrato dalla crescente richiesta di ulteriore formazione  postlaurea sui cui  l’Università  pubblica poco investe.
Ogni facoltà e ogni Ente fa da se in questo campo post laurea,  dove mancano politiche e criteri  nazionali di verifica della qualità, degli obiettivi proposti e  raggiunti e dei costi complessivi.  E’ veramente difficile per un laureato scegliere un master o uno stage, valutare la sua utilità, capire se gli obiettivi proposti sono frutto di retorica  propagandistica o vicini alla  realtà.
Purtroppo i dati disponibili sulle università italiane ( Alma Laurea 2010) non raccontano la qualità dei  masters o degli stage o dei dottorati  ma solo quella dei tirocini obbligatori. Nemmeno è monitorata la qualità ed i risultati occupazionali dei Corsi di formazione professionale che, notoriamente ben finanziati dalla politica,  sono gestiti dalle Regioni.

Nelle università  i tirocini sono organizzati dalle facoltà sia all’interno che all’esterno  di essa con apposite convenzioni che di solito prevedono  un monte ore  tra 250 e 400.
Il tirocinio obbligatorio, di tipo formativo e di orientamento,  viene riconosciuto con circa 9 crediti, al pari di  un esame importante. La scelta degli studenti è orientata a privilegiare i tirocini esterni in aziende pubbliche, private, Ordini,  evitando  invece quelli interni poco qualificanti perché tenuti dagli stessi docenti che fanno didattica.   Naturalmente ci sono eccezioni  e situazioni come  le Cliniche e le facoltà con Laboratori conto terzi.
Ad architettura  per esempio  pochi scelgono i tirocini all’interno delle facoltà, circa il 9%, mentre  il 18% sceglie  quelli in  Enti pubblici e la maggioranza, circa il 65%, opta per quelli  in aziende private /studi professionali;  quasi nessuno sceglie gli Enti di ricerca  anche perché sono mosche bianche.
Sorte infelice sta accadendo ai  dottorati di ricerca, formazione d’eccellenza nella ricerca universitaria e  una volta  banco di prova della qualità di una facoltà e dei suoi docenti. La riduzione delle borse di studio,  la poca ricerca  praticata dai dottorandi “senza borsa” e l’inutilità  pratica  del titolo al di fuori dell’università  stessa, stante la mancanza di Enti di ricerca sul mercato, li hanno trasformati in  una specie di scuola di formazione magistrale per futuri docenti ed,  in attesa,  in piccolo sostegno  didattico a professori  ormai privi da tempo di  assistenti.
Incredibilmente anche i masters  hanno vita difficile  anche se ritengo che i dati nazionali non riflettano e oscurino  singole valide esperienze di alta qualità; ma la variabilità  e  spesso l’evanescenza dei loro contenuti, in mancanza di  riscontri nazionali e di un certo  valore d’uso,  ne hanno fatto perdere di molto l’appeal.
Se si guarda all’offerta formativa appare evidente che sono  poco credibili quei masters che propongono formazione in campi dove  il territorio di appartenenza  della facoltà non eccelle, dove non si riscontrano aziende innovative interessate, o dove la qualità della proposta si regge su figure di spicco non di stabile presenza. Ogni facoltà ha la chiara percezione in quali masters  potrebbe  eccellere anche  sul piano di una concorrenza nazionale, ma essa  non esercita politica di indirizzo né di coordinamento per lo meno regionale;  il suo compito sembra limitarsi alle lauree ed è già segno di qualità se non attiva lauree strampalate o prive di una struttura  stabile di insegnamento.
Sugli stage mancano dati statistici sulla  frequenza e sulla qualità, e questo è già un dato significativo; essi riguardano i laureati  che svolgono attività senza compenso, in aziende convenzionate con l’università per un periodo da tre a sei mesi. Non ci sono inchieste sull’uso effettivo di questi laureati, si dice che lo stage incrementa le possibilità occupazionali di un 6%. Occorrerebbe una  certificazione di qualità delle aziende che impiegano gli stagisti, unica garanzia di un apprendistato spendibile sul mercato.
Circa il 45 % dei  laureati architetti si inserisce  in un mondo professionale di  140.000 professionisti: la più alta concentrazione europea di architetti per abitante. Ma  a tale grandissimo numero vanno aggiunti - l’Italia è l’unico paese europeo ad avere cosi tante figure che si occupano di edilizia - gli ingegneri edili, i nuovi ingegneri-architetti,  i geometri. Vanno ancora sommati i nuovi arrivati con le lauree triennali, architetti e ingegneri che,  in mancanza di una chiara normativa circa le loro competenze professionali -  un colpevole lassismo del Ministero e degli Ordini -   esercitano, di fatto, il mestiere privato dell’architetto quinquennale. 
I dati  disponibili sulla  formazione postlaurea  dal 2002 al 2009 ( AlmaLaurea 2010)  ad Architettura mostrano un  notevole trend di crescita dei  tirocini e degli stage   arrivati  ad una percentuale di  tirocinanti   pari al  17%  dei laureati,  di stagisti pari al 21 %, mentre è sorprendente  il trend in continua discesa nella scelta dei dottorati  ( 5% ), dei masters ( 4%) e dei Corsi di formazione professionale ( circa 10%.).

Vale la pena infine  fare qualche osservazione sull’Esame di Stato, primo passo che dall’Università porta nel mondo del lavoro e alla iscrizione negli albi professionali.  E’ noto che  tutti i laureati lo sostengono quanto prima possibile e vagano da sede in sede per poterlo superare più agevolmente. Ad alcune professioni viene richiesto prima dell’Esame, un tirocinio professionale che, nel caso degli avvocati, raggiunge i due anni.
L’esame  di stato è gestito malissimo da Università e Ordini, quasi  espressione di un retaggio corporativo reso ancora più difficile, in teoria, con addirittura 4 prove da svolgere dall’ultima legge organica  n.328/2001.  La cattiva e irresponsabile gestione dell’esame ( commissione composta da 5 membri, tre proposti  dagli Ordini e due, compreso il Presidente, proposti dall’Università)  consente l’iscrizione all’Albo, ed è il prodotto di un totale disinteresse formativo. Nessuna seria preparazione viene fornita su  materie prettamente professionali come  legislazione, normative  e  tecnica. In compenso, ad onta delle 4 prove, e con colpevole cinismo soprattutto in un mestiere come l’architetto che costruisce nel e per il sociale, la gran maggioranza dei laureati lo supera senza aver fatto in sostanza  una minima pratica in studio.

I dati statistici forniti da Alma Laurea fotografano una  realtà di laureati  che si sta orientando  diversamente dalle principali  proposte di formazione post laurea delle Università pubbliche. Essi cercano formazione specialistica e apprendistato e poco  sono attratti dalle offerte standard delle Università,  come dottorati e masters,  ed è evidente che è necessaria una diversa politica sulla  formazione:  il pezzo di carta non serve più e il valore legale del titolo di studio si è quasi liquefatto. Considerando poi che le aziende  non hanno più voglia di investire, come una volta, tempo e denari per formare manager e tecnici e li vogliono “pronti all’uso”. Il  necessario completamento della  formazione ricade, alla fine, sui singoli laureati, mentre le università pubbliche non solo non adeguano i contenuti dei corsi di laurea  per una migliore spendibilità del titolo nel  mercato del lavoro ma  poco si impegnano  nel nuovo mercato della formazione post laurea  ritenendo quest’ultimo marginale alla loro funzione pubblica.

10 milioni per un'opera d'arte , 100 milioni per una stazione



Quando si inaugurerà la stazione del Metrò Università, non sarà attivo ciò che immaginiamo, il collegamento diretto Piscinola –Rettifilo. Sotto la pancia del gigantesco cavallo del re Vittorio Emanuele II, padre della patria, appena posto al centro di piazza Borsa, non scorreranno i convogli della metropolitana ma solo una navetta con partenza  da piazza Dante e con nessuna fermata intermedia.
Scavare con la Talpa in zona archeologica costa enormemente in termini di soldi, di ritardi sui tempi, di riprogettazione delle stazioni e di sorprese non sempre positive. Comporta anche grandi occasioni di studio, di recupero di reperti antichi sepolti, di sperimentazioni architettoniche e di riqualificazione urbana nei dintorni. Le stazioni ipogee a Napoli sono state anche un’occasione di produzione di arte pubblica che nelle intenzioni di Mendini e Bonito Oliva sono servite e servono a costruire un museo sotterraneo di arte contemporanea. Un eccezionale successo di critica e di pubblico ha accompagnato le 14 stazioni costruite della linea 1 ( costo medio € 60 mln/stazione e 65 mln/Km) in parte oggi compromesso da una perdita di misura che sembra caratterizzare le nuove stazioni in costruzione.
Da un trinomio arte+architettura+design che ha segnato le stazioni dell’arte, si sta passando ad un binomio arte+design mettendo fuori gioco l’architettura  e le sue ragioni pratiche.
Alcune nuove stazioni tendono, infatti, a diventare esse stesse opere d’arte, superando il confine tradizionale tra architettura come costruzione con scopi sociali e arte come libero esercizio di sensibilità, legata solo alla biografia dell’artista.
Tale slittamento non solo pone questioni intorno al significato dell’attività artistica, sulla quale da sempre si interroga chi progetta , ma  pone anche  problemi di  responsabilità  di chi decide, di quale rapporto col pubblico ricercare , di quale coinvolgimento praticare,  dato che parliamo di opere finanziate con soldi pubblici e non  fatte per “ il piacere del principe”.
La questione del significato del progetto artistico ha una sua importanza perché è sotto gli occhi di tutti lo slittamento che sta avvenendo nelle opere pubbliche: da proposta razionale e sociale condivisa a simulacro, a oggetto urbano dotato di forte immagine emozionale, a landmark.  La strada per la notorietà e il successo dei progettisti passa per l’accondiscendenza al mercato e alle sue regole di marketing.
Tale nuova focalizzazione fa perdere  di vista il contesto dei progetti, il ruolo  dei luoghi nei quali si costruisce, i quali   non vengono più  percepiti come importanti  dai progettisti; si attua cioè uno spaesamento contro i luoghi, un tradimento che serve a  liberare il progetto dalle regole tradizionali del rispetto del contesto. Un atteggiamento artistico che insegue soprattutto l’immagine emozionale, il gigantesco, il ridondante. Era il 2003 quando l’artista Anish Kapoor progettava come “architetto” la stazione di periferia di Montesantangelo aiutato dallo studio Future system nel primo progetto postmoderno della città.
La piccola stazione di Montesantangelo è, a sentire Massimiliano Fuxas la più sexy stazione che si conosca. Un’opera d’arte integrale, un sesso d’acciaio corten. Una scultura a dimensione gigante, un Landmark urbano.
Gli autori e la committenza hanno ancora qualche reticenza a giustificarla come opera d’arte pura; scrivono che l’opera riqualificherà culturalmente il rione Traiano; ma sappiamo che non è cosi, che al rione certo l’arte non fa male ma soprattutto esso  ha bisogno di  commercio, servizi e parchi.  
Conoscere il costo delle stazioni della Metropolitana non è cosa agevole, quando si parla di cifre si trovano solo importi generali non dettagliati; ai costi concorrono molte variabili, la scelta del tipo , metropolitana leggera o pesante, ma soprattutto la presenza di strati archeologici. 
Ma seppure con una certa approssimazione il costo stimato della stazione di periferia di Montesantangelo  (un costo medio per una stazione di periferia , a Torino come a Napoli,  è di circa 35 mln di euro)  è circa  100 milioni di euro, di cui oltre 10 milioni solo per le  due opere d’arte. E’ come se invece di costruire al Traiano un discreto Auditorium ( penso a quello di Ravello ) si fosse scelto di realizzare una scultura gigante per stimolare la cultura degli abitanti.
Qui si mostra ciò che si diceva a proposito delle responsabilità delle scelte pubbliche per l’arte.
La stima del costo previsto da parte di Achille Bonito Oliva fu ritenuta oltremodo vantaggiosa per l’amministrazione pubblica e congruente.  Senza metter in dubbio valutazioni artistiche è difficile accettare congruenze di costi per una merce che non si può vendere e che è soprattutto forma e immagine seppure di acciaio. Ma forse, alle strette, potremmo sempre venderla, sezionandola, a qualche museo o Emirato arabo o città americana.
Per lo stesso costo medio stiamo costruendo cinque stazioni nel centro storico, Toledo, Università, Municipio e Garibaldi che saranno pronte  fra un paio di anni. Ma lì almeno le questioni archeologiche e la continua riprogettazione  sembrano giustificarne  l’alto costo.
Discorso a parte si deve fare per la futura stazione di piazza Garibaldi che affronta con forza la riqualificazione dell’incompleta piazza. La scelta però di costruire un centro commerciale interrato, coperto da una gigantesca pensilina in vetro che occupa circa mezza piazza pone notevoli interrogativi circa la necessità di occupare altro spazio urbano per privatizzarlo a uso commerciale, a fianco di un altro centro commerciale ricavato nella stazione della Ferrovia.