a proposito del tema di attualità dato alla prova di Maturità stralciando un brano sulle periferie da un articolo di Renzo Piano
Quest’anno, come tema d’attualità agli esami
di Maturità è stata data una riflessione
sulle nostre periferie stralciata da un
recente articolo di Renzo Piano.
Che sia un
argomento d’attualità non c’è dubbio, che sia stato anche argomento di discussione
in classe ho qualche dubbio, per cui credo,
che pochi lo avranno scelto anche se a Napoli qualche suggestione in più sul tema può averlo dato la recentissima fiction Gomorra, per cui spero che il tema, da noi, lo abbiano scelto
in molti.
Oltre gli scempi
della terra dei fuochi e gli orrori di Gomorra, una riflessione sui luoghi dove
si abita, e la maggioranza dei cittadini abita in periferia, è indispensabile per mettere a fuoco le
proprie radici e il proprio rapporto con
l’habitat e la cultura urbana .
Si fa sempre un
gran parlare sui fallimenti della periferia, sullo sconvolgimento del paesaggio
italiano, sull’emergenza abitativa, sullo spreco di suolo già fatto; ma tali
argomenti non riescono ad uscire dall’ambito delle critiche , non
diventano acquisizione culturale e traduzione trasformativa.
Per lo più, ad
ogni emergenza che l’attualità ci mette sotto il naso, il ricorso a soluzioni
straordinarie ci appare come l’unico modo operativo, un modo che in fondo
rimuove il problema e consegna ad altri la sua soluzione.
Che si tratti di
una difficile eredità non c’è dubbio, tanto difficile che non siamo stati in
grado di accettarla e poi iniziare a trasformarla. La riqualificazione della
periferia costruita dal secondo dopoguerra è infatti un compito che la politica
prima di tutto non ha saputo e voluto fare.
Un laissez faire selvaggio dell’edilizia privata e un intervento pubblico
ingessato e strozzato hanno sconvolto il sogno moderno della nuova città
futura. L’hanno frantumato, spezzettato, quasi annullato, rendendolo
irriconoscibile e qualche volta un incubo per gli stessi abitanti.
Ma la
politica urbanistica , questa si veramente fallimentare ,
sta in buona compagnia con architetti spesso irresponsabilmente creativi e con imprese edili poco controllate.
Oggi, che la
città futura è sotto i nostri occhi e non è una bella città, dobbiamo puntare
sui giovani e sugli anziani per sperare in un prossimo imprescindibile cambiamento
di tanta bruttezza. Per questo ritengo
che il tema di attualità dato sia un importante segnale per un invito a
riflettere sulla nostra condizione urbana moderna, complessa e contraddittoria
al tempo stesso.
In fondo non è
molto tempo fa, alla Triennale di Milano del 1960, che si celebravano e si
criticavano le realizzazioni dei quartieri Ina casa del piano Fanfani. Era
ancora un tempo dove gli architetti e urbanisti italiani s’interrogavano sulla
periferia in costruzione e sui suoi pregi e difetti, dando soluzioni per
migliorarla; ma il sogno della modernità italiana non era ancora compromesso e
resistette per altri dieci anni, almeno fino agli anni settanta.
Altre nazioni,
più moderne e con una politica urbanistica più incisiva della nostra, procedevano
speditamente a realizzare la nuova città in periferia: Svezia, Inghilterra,
Olanda, e non creavano né ghetti né degrado.
Paradossalmente i
nostri bei centri storici hanno svolto un ruolo negativo nel pensare la
periferia. Sembrava possibile a molti proporre per essa delle qualità analoghe
che ci venivano dalla storia: piazze, mercatino, uffici comunali, pedonalità.
Ma era solo un mito che alimentava aspettative sociali, ipotecava buone
soluzioni residenziali e che non poteva essere raggiunto.
Bisognava forse evitare
le forme del passato, rielaborare la
tradizione e aggiungere il meglio della
modernità: verde , varietà tipologica ed edifici alti, abbondanza di balconi e terrazze, trasporti pubblici.
Oggi, ai giovani
che abitano queste contrade periferiche, è chiara la marginalità e la
specificità dei caratteri dei loro luoghi.
Se ne debbono fare carico e imparare a “
curare” la fragilità delle loro terre.
Giovani e anziani
sono le sole forze che, accettando questa pesante eredità del passato, possono
farsi carico di riannodare i fili delle relazioni sociali e creare una
trasformazione positiva.
Una nuova
educazione civica nella formazione dei giovani e una sostenuta organizzazione del
tempo libero degli anziani possono produrre risultati incredibili che sono assolutamente
impossibili per noi che non siamo né giovani né anziani. La politica seguirà.
Repubblica Napoli 24.6.2014