giovedì 26 aprile 2018

Una copertura per l'Arena Flegrea (a)



L’edificio dell’Arena flegrea di Giulio De Luca e Giuseppe Squillante è un’architettura unica tra le architetture contemporanee italiane: un’arena scoperta d’impianto classico che richiama modelli ellenistici  posta  in un contesto architettonico significativo del periodo fascista,  non è cosa  che si  incontra spesso nell'urbanistica moderna. Straordinaria per la sua grande dimensione, circa 6000 spettatori, essa soffre per una caratteristica anacronistica: la mancanza di confort per gli spettatori seduti all'aperto e la poca programmabilità di grandi spettacoli dipendenti dalle eventuali condizioni meteorologiche.
L’attuale Arena è la sostituzione della vecchia del 1939 di Giulio De Luca  che subì  un costante  decadimento e  poi l’abbandono   definitivo  dovuto, tra l’altro, ad una  progressiva marginalizzazione dell’edificio per poco, difficile e costoso uso e  per  una conseguente trascuratezza manutentiva  rivelatasi  quasi esiziale per una struttura scoperta in cemento armato. Per certi versi tale processo di decadimento è già iniziato anche per la nuova arena del 2001 che è sorta sui ruderi della vecchia.
Appare evidente che il processo di marginalizzazione di un cosi vasto edificio scoperto non è risolvibile con continue  costose manutenzioni ;  ma  probabilmente da un progetto di  completamento che, in quest’Italia dei divieti e delle cose mal realizzate,  ha già una  lunga storia di studi  progettuali a partire dal 1969.
Un ripensamento progettuale dell’edificio, nel senso di una sua migliore funzionalità e durata, presuppone senz’altro un aumento dell’offerta funzionale che includa anche la funzione congressistica, la realizzazione della copertura della cavea per assicurare il necessario confort agli spettatori, un miglioramento dell’acustica con conseguente ampliamento delle stagioni di apertura non più concentrate nel solo  periodo estivo.
Se si considera che oggi nessuno concepisce uno stadio di calcio o una tribuna numerata di F1 con spettatori allo scoperto, si comprende come l’anacronismo e il destino all’insuccesso dell’attuale arena flegrea scoperta sia quasi certo.
E’ innegabile che un’Arena, come un anfiteatro o un teatro ellenistico, appartenga a quegli edifici dell’antichità che hanno il cielo come soffitto e il mare o le valli come fondale; ma ad un edificio moderno  viene richiesto di soddisfare requisiti funzionali adeguati all'oggi pena la sua inutilizzazione.
L’Arena flegrea ha un impianto classico ma non è un monumento: essa è pienamente un edificio della nostra modernità recente.  La vitalità e numerosità di pubblico che partecipa agli spettacoli rappresentati nei monumenti antichi come nei teatri ellenistici siciliani o nell’anfiteatro di Verona, non ci deve trarre in inganno: quelle esperienze sono uniche e singolari e ricercate dal grosso pubblico anche in mancanza di confort.

Tracciare delle linee guida (A)  per la realizzazione del progetto di copertura ha quindi il senso di mettere in campo le condizioni per un ripensamento funzionale dell’edificio, per renderlo adeguato a un pubblico esigente, consentire una maggiore gamma di funzioni e per una più lunga  durata stagionale, migliorare se possibile l’acustica e infine salvaguardare l’edificio dagli effetti perversi del ciclo poco uso- degrado .
Negli oltre quarant’anni di tentativi senza esito di progettare una rifunzionalizzazione dell’arena da parte di De Luca, molto dell’insuccesso fu dovuto a mancanza di fondi, ma molto anche ad un malinteso senso del restauro tutto schiacciato sulla  conservazione e  quindi insensibile alle urla di dolore di edifici divenuti ormai inadeguati. Se si fosse approvato il bellissimo progetto di De Luca del 1977, avremmo avuto un risultato sorprendente: conservare la vecchia arena del 1939 e avere una cavea coperta da una spettacolare vela sospesa.  Perso l’edificio del 1939, dovremmo cercare di non perdere l’edificio del 2001 aiutando la sua trasformazione, garantendo la compatibilità architettonica della nuova copertura con la fabbrica esistente e accettare di non dover nascondere al contesto,  per un cattivo senso del passato-presente,   il nuovo che emerge in punta di piedi.  Canino volle la vecchia arena isolata dentro una zolla verde, un landmark dentro un bosco mediterraneo che guardava la collina di Monte S.Angelo, affidato al disegno del giovane allievo De Luca. La nuova arena che oggi ne occupa il sito eredita l’isolamento e la debole partecipazione al contesto  con una  relativa indipendenza  dall’intorno che si sostanzia in una possibile vita autonoma.

I progetti di copertura del 1977 e del 1988
Una breve disamina dei progetti di trasformazione di Giulio  De Luca può aiutarci a stabilire alcuni obiettivi e criteri del progetto di copertura e trasformazione dell’arena.  Dei due progetti noti, il più significativo è quello del 1977 ( foto 1) studiato da De Luca con una equipe qualificata di progettisti e docenti della Facoltà  di Napoli ( 1). Il progetto proponeva trasformazioni significative come la costruzione di gradinate per spettatori dietro al palcoscenico alla maniera delle avanguardie tedesche,  un uso differenziato dell’edificio  con la previsione di  nuove attività congressistiche con sale e salette a diversa scala ricavate al di sotto della cavea , ed  infine una immensa copertura che copriva  anche il palcoscenico ed i nuovi giri di gradinate. La cosa stupefacente è proprio la copertura, disegnata a forma di struttura lenticolare (molto simile alla struttura dell’attuale nuovo stadio di Torino)  composta da un insieme di  travi reticolari  sostenute con stralli ancorati a  due grossi piloni in acciaio impostati sulle torri del boccascena ridisegnate.
La qualità della copertura non è solo quella di essere stata calcolata in modo approfondito dagli strutturisti  ma dall’essere sospesa sull’arena e sulla cavea senza nessun punto di attacco con essa: una vela convessa e rigonfia al di sopra degli spettatori.
Un’idea geniale anche se di enorme difficoltà realizzativa: una sfida progettuale e tecnologica tutta interna al dibattito degli anni  settanta sul gigantismo strutturale con cui De Luca andava misurandosi com’è evidente osservando il suo contemporaneo progetto per il Terminal della Circumvesuviana (1972).
Il secondo progetto del 1988 (foto 2), redatto da De Luca in pochissimo tempo, è meno interessante dal nostro punto di vista perché è, in effetti, l’esatto contrario del primo. Mentre il primo è un progetto di copertura dell’arena, il secondo è un progetto di edificio chiuso, come un nuovo teatro o un centro congressi, con un’alta torre scenica al pari di quella del vicino teatro Mediterraneo.
Il primo progetto ci interessa maggiormente perché esso è interno a un tentativo di recupero dell’arena del 1939  e , pur violentandola con la immensa copertura,  ne conserva molti caratteri architettonici. Il secondo invece è un progetto di totale trasformazione e alterazione della vecchia arena non più riconoscibile.  

L’edificio attuale
L’edificio attuale nasce come progetto di demolizione e ricostruzione della vecchia arena ritenuta nel 1989 non più recuperabile.  (2)
Interamente riprogettata con setti in c. e volte cementizie, la nuova arena conserva l’impianto tipologico della vecchia dentro una nuova forma e con nuovi materiali: un rivestimento interno in travertino e intonaco a cemento all’esterno ( foto 3)
De Luca elimina la componente monumentale e classicheggiante del  vecchio edificio e  progetta il nuovo senza grazie, scarno e nudo nella sua accentuata dinamica,   esaltando le diagonali dei setti della cavea e le pareti inclinate dei corpi laterali.
Eliminato il frontone a mosaico della vecchia arena, eliminate le parti a prato delle scalee d’ingresso, la nuova bellissima cavea conserva una sua potente monumentalità attraverso la materialità del rivestimento omogeneo in travertino, le sfuggenti e massicce pareti inclinate dei corpi laterali di chiusura e le alte e possenti torri del boccascena, due parallelogrammi rastremati in alto disegnati per assecondare la visibilità del palcoscenico.
Ci si sarebbe aspettato che finalmente De Luca, dopo decenni di studi e proposte, avesse riprogettato la nuova arena almeno con la previsione di una copertura futura non potendo egli progettarne una nel poco tempo che ebbe a  disposizione e nelle condizioni maturate per il progetto stesso di ricostruzione.  Cosi sembra non sia stato ;  ma da notizie   ricevute dal co-autore Giuseppe Squillante emerge  che nel lungo tempo di attesa tra il progetto e realizzazione, quasi undici anni,   De Luca avesse continuato a  lavorare a questa idea della copertura  salvo poi decidere , forse per stanchezza e vecchiaia,  di rinunciare.(3)

Criteri , limiti e prestazioni
E’ evidente che date le dimensioni della cavea (un settore circolare di misure 40/114 e potenza di 68 m pari a circa 5500 mq) il progetto di una copertura sia un’impresa complessa e difficile perché si tratta di adeguare le possibilità tecniche e tecnologiche delle grandi coperture a un’architettura esistente che non si vuole stravolgere. Inoltre il contesto in cui si trova l’edificio  richiede  molta  attenzione , non tanto allo stile tecnologico della copertura stessa quanto alla misura del progetto stesso  e al  suo  impatto paesistico in  un  luogo  vincolato.
La riduzione dell’impatto paesistico e architettonico dell’intervento dovrà passare inevitabilmente per un progetto di copertura leggera che, senza stravolgere il carattere architettonico dell’edificio attuale, possa mantenere all’arena quella sospensione tra la memoria del vecchio, la persistenza del nuovo e la nuova futura immagine. Un’immagine che dovrà essere più vicina all’immagine di una copertura dell’edificio attuale che una nuova costruzione coperta e chiusa. Una copertura “sospesa” quindi che non chiuda  ermeticamente la cavea ed eventualmente il palcoscenico; ma lasci un distacco, una separazione fisica e formale, dove possano circolare volumi d'aria (si veda il distacco progettato da De Luca nel 1977).
Dovrà inoltre essere garantita la maggiore visibilità possibile a tutti gli spettatori eliminando o riducendo per quanto possibile, i sostegni interni nella cavea e nel palcoscenico.  Tale scelta dipenderà ovviamente anche dal risultato delle indagini strutturali sulle capacità di resistenza delle attuali strutture in c.a.  alle strutture della nuova copertura che potranno orientare meglio  sulla scelta dei tipi di attacco  nuovo/vecchio.

Saranno necessari contributi specialistici per i vari settori che il progetto della copertura richiede come strutturisti, impiantisti ed esperti del suono. In questa sede si vogliono solo indicare le tematiche  principali   che potranno poi essere sviluppate con progetti ed indagini specifiche.
Le condizioni che il progetto della copertura deve soddisfare sembrano tendere verso un uso di coperture leggere del tipo a tensostrutture, oppure a graticcio di funi, a travi  reticolari strallate o a coperture di tipo misto, per citare quelle più diffuse ; ma la scelta dovrà ricadere comunque su strutture che si adattino all’ingombro di pianta e alla sagoma dell’arena.
Anche la scelta della membrana di copertura dovrà essere valutata in relazione agli obiettivi da raggiungere sia all’interno che all’esterno dell’arena come un’alta resistenza alle tensioni  dovute alle grandi luci, una durata  agli agenti atmosferici, proprietà ignifughe, termoisolanti, impermeabilità  e fonoassorbenza,  ed una controllata  traslucidità. Infine sarà anche necessario che il sistema copertura adottato assicuri una facilità di montaggio e smontaggio, come del resto le tensostrutture garantiscono, per operare quando necessario nelle stagioni morte, la sua rimozione.
All’esterno il profilo e l’ingombro della copertura creeranno inevitabilmente una nuova immagine dell’edificio che dovrà essere compatibile per forma, dimensione, colore e altezza con l’architettura dell’arena senza creare un invasivo impatto col contesto.
All’interno l’intervento si dovrà misurare con la creazione di un nuovo spazio scenico della cavea, uno spazio  che riesca a  confermare se non a migliorare l’ acustica esistente  e  rendere confortevole  la permanenza degli  spettatori,  agendo sul microclima della cavea  per   luce, temperatura, condensa, pioggia, ventilazione e rumore.
Dal punto di vista dello studio dello spazio interno la copertura costituirà inevitabilmente il nuovo cielo dell’arena e sarà una trasformazione radicale della percezione dello spazio della cavea sia per l’eliminazione della vista del cielo notturno sia per la grande dimensione che sarà imponente e grandiosa sullo spettatore.
Un cielo di tessuto, con trama e disegni, dovrà essere studiato non solo per forma, ma anche per colore e grado di trasparenza.  In particolare, nel caso di copertura traslucida, andrà studiato l’effetto all’interno della luce solare estiva  e valutato anche l’impatto luminoso  notturno del  nuovo oggetto nel contesto della Mostra.
Il nuovo invaso spaziale della cavea avrà il suo punto critico nel raccordo tra copertura e boccascena sia perché le due torri avranno una funzione strutturale nel sostenere la copertura sia, soprattutto, perché il boccascena assumerà una nuova forma e disegno: da boccascena aperto a boccascena chiuso con probabile ponte.
La qualità principale del palcoscenico risiede nella sua apertura verso la natura, alla maniera greca. La collina di verde con alberi di alto fusto rappresenta, infatti, il traguardo dell’occhio dello spettatore e tale qualità va garantita a ogni livello di gradonate.

Miglioramento della qualità acustica della sala
Una delle più importanti conseguenze della copertura della cavea  sarà una modifica  del rumore di fondo e dell’acustica  dell’arena che oggi, per unanime convincimento,  è ritenuta di buona qualità .
Un buon progetto di copertura potrebbe migliorare l’acustica esistente sia con un adeguato disegno di forma - si sa, infatti, che una forma concava è negativa  mentre una forma convessa è migliorativa-,  sia mettendo in campo correzioni acustiche come  pannelli fonoassorbenti, schermi,  baffles  etc.
Lo studio acustico degli spazi coperti da membrane o tessuti  è  ancora  oggi  sperimentale  e la sua progettazione   necessità di interventi  di  correzione in fase di  realizzazione  che vanno  attentamente monitorati  con misurazioni fonometriche del tempo di riverberazione.
La scelta del tipo di materiale della membrana (mono o multi membrana, PVC, teflon, membrane fonoassorbenti, a coibenza termica, etc) sarà quindi decisiva per l’acustica in relazione al  tipo di frequenze di  suono da garantire : concerti e parlato,  e per  evitare  fenomeni di rimbombo. Un’eventuale messa in opera di sedili andrà anche verificata dal punto di vista acustico. 

Climatizzazione e ventilazione
In relazione all’ampliamento  delle stagioni di uso  dell’arena   appare opportuno studiare un  sistema di ventilazione /climatizzazione che assicuri  un confortevole  microclima interno  nelle diverse stagioni meteorologiche della programmazione,  in grado di eliminare  la condensa  e senza aumentare la rumorosità di fondo della sala.  
Trattandosi di una copertura leggera e non di una chiusura ermetica della cavea, l’eliminazione degli effetti negativi della pioggia e del vento sull’acustica e il microclima della sala appare possibile solo entro  condizioni di  pioggia lieve e  vento debole mentre nelle condizioni di vento teso e pioggia battente gli effetti negativi  non appaiono facilmente eliminabili in quanto le coperture leggere  hanno massa quasi inesistente. Tali effetti negativi limiteranno in ogni caso l’uso dell’arena flegrea alle condizioni meteorologiche di soglia.

Copertura del palcoscenico
La copertura della cavea potrebbe essere estesa anche al palcoscenico (circa 2600 mq. con luce libera di circa 45 m.) per  migliorane la funzionalità d’uso. Una copertura disegnata in continuità o separata da quella della cavea potrebbe utilizzare anche sostegni verticali esterni dell’emiciclo, mascherati nel verde esistente.  
Va considerato però che attori, congressisti e cantanti hanno esigenze diverse fra loro e non sempre compatibili con un palcoscenico coperto; per esempio i concerti di musica contemporanea usano strutture autonome come l’Americana, complete di luci e diffusori acustici che non hanno bisogno di copertura.
In sostanza per rispondere alle più svariate esigenze di spettacolo e assicurare a tutti la visione del verde è necessario che un’eventuale copertura sia posta molto alta sul piano del palcoscenico e possa anche essere facilmente e velocemente rimovibile per rispondere alle diverse esigenze dello spettacolo.

Impatto paesistico della nuova copertura
Il punto critico della nuova copertura dal punto di vista dell’impatto paesistico non risiede certo nello stile del progetto, quanto nel suo ingombro in altezza che potrebbe provocare, se percepito dall’esterno, una variazione non accettabile del paesaggio contestuale.
Dal punto di vista dello stile non c’è dubbio che la Mostra del 1939, nata come fiera della varietà dei prodotti dell’impero, sia stata organizzata da Canino come un insieme urbano indifferente all’omogeneità stilistica degli edifici a differenza di come invece è accaduto all’Eur di Piacentini.  
Già nel 1939 la Mostra era indicata come un eccentrico insieme che conteneva almeno tre stili dominanti (Razionalismo mediterraneo, esotismo imperiale, monumentalismo celebrativo) che convivevano entro un disegno morfologico di strade e verde dal carattere assiale continuamente interrotto.
Dal punto di vista paesaggistico la posizione isolata dell’arena è favorevole a una sua autonomia formale a  patto che la sua eventuale nuova altezza, a causa della copertura, non sia un elemento dirompente nella percezione visiva consentita dalle strade perimetrali in cui è racchiusa l’arena. Il sito dell’arena è posto all’interno di una zolla verde chiusa all’esterno, verso le strade perimetrali, da alte alberature, ed è chiusa anche verso la lunghissima fontana dell’esedra dall’edificio di Chiaromonte che volge all’arena il suo lato postico, schermato da altri alberi. L’unico punto di visione della nuova copertura potrà essere quindi lo slargo d’ingresso, ma qui la questione si sposta dal piano paesistico al piano architettonico in quanto lo slargo è tutto interno alla zolla e non esterno ad essa e per di più protetto da alte alberature.  

(a) Lavoro di Ricerca, Convenzione :  Dipartimento di Architettura, Università degli studi di Napoli e Mostra d'Oltremare di Napoli, Linee Guida , Giugno 2013


(1) il progetto preliminare di “Restauro, Ristrutturazione e Recupero dell’Arena flegrea” è stato redatto nel 1977 da un’equipe di progettisti composta dagli arch. : G. De Luca, C.Gubitosi, M.Pica Ciamarra, A.De Rosa, C.Ulisse, dott. F.Fittipaldi (acustica), ing. F.Reale, (impianti) ing. R. Sparacio (strutture).

 (2) si veda la ricostruzione storica delle vicende progettuali fatta da B. Gravagnuolo, Fatta, disfatta e rifatta, l’Arena flegrea di G.De Luca , in ANANKE, n.48 , 2006 e lo scritto fatto per questa convenzione da G.Menna “ L’Arena flegrea di Giulio De Luca, 1938-2001”, 2013.

(3) Giuseppe Squillante mi ha raccontato che De Luca una mattina gli lasciò una lettera allo studio nella quale lo informava che rinunciava a pensare ancora ad una copertura  dell’arena che riteneva ormai impraticabile.