venerdì 25 gennaio 2019

Social Housing e Periferie 3. Primo Novecento


Nella seconda metà dell’Ottocento, la filantropia, il mutuo soccorso operaio, i villaggi operai delle industrie, insieme al pensiero socialista, creano le condizioni per una trasformazione della politica liberale. Sul tema della casa emerge una maggiore attenzione al sociale e al problema tecnico che spinge gli Stati nazionali ad interventi  pubblici di case economiche  per mitigare i disagi abitativi dovuti all’anarchia dello sviluppo industriale e agli immigrati dalle campagne.
Inoltre, sul piano culturale la nascita delle Garden Cities inglesi a cavallo del secolo, mostra anche un diverso modo di fare nuove città, alternativo alla congestione industriale capitalistica della città ottocentesca, e anche adatto ad ampliare le città  esistenti: casette individuali, bassa densità, molto verde: un modello di città che sarà  poco usato da noi e solo per ceti medi impiegatizi in borgate giardino come  la Garbatella e Aniene a Roma, ea  Cusano Milanino.
Quello che accade alla città ad inizio novecento oltre alle sconquasso delle nuove infrastrutture (tram e treni e allargamenti stradali, infrastrutture primarie,  etc.) conferma i tracciati urbani e i disegni di ampliamento. L’urbanizzazione è poco vincolata, spesso “ a macchia d’olio”, con interventi disordinati che non costruiscono nuovi luoghi. Solo l’uso morfologico dell’isolato garantisce la permanenza della forma urbana che si lacera invece nel secondo dopoguerra con l’enorme espansione delle città, quando gli interventi prenderanno forme libere e autonome, rompendo l’unità storica urbana.

1903-1925
Nel 1903 il governo Giolitti emana la legge Luzzatti, (1903, rivista 1908) che prevede per ogni Comune la costituzione di un Ente (morale) per realizzare case popolari (ICP) per lavoratori, artigiani, commercianti, e sostenere società cooperative. E’ una legge liberale e interclassista che evidenzia in tutto il paese, la necessità di affrontare il tema delle case per i lavoratori ormai fatto concreto e negativo dello sviluppo industriale e della periferia urbana. Lo Stato però non finanzia le opere, ma si limita a guidare il processo di attuazione; lo Stato concede esenzioni fiscali, paga in parte gli interessi sui mutui contratti dagli ICP, e qualche volta concede suoli. Gli ICP non nascono come Enti pubblici (a Milano l’esperienza socialista nel Comune che aveva costituito un Ente municipale a carico del Comune che si occupava di case popolari,  era stata interrotta dall’alleanza tra liberali e conservatori),  stanno a metà tra le Municipalizzate comunali  che impegnavano   il bilancio comunale e la libera iniziativa immobiliare : insomma  i nuovi ICP nascono come  Enti economici autonomi, detti Enti morali (sociali)  che  costruiscono case e le gestiscono coi soldi degli affitti e le donazioni della beneficienza privata o pubblica.    
La politica liberale considerava la casa, un capitale e il fitto come interesse (M. Bonfanti e Scolari, La vicenda politica e urbanistica dell’ICP di Milano, pag. 11), e la legge Luzzatti ne fu l’espressione. 
La legge, articolata in norme redatte da ogni singolo ente comunale, prevedeva che per accedere a una casa popolare bisognava avere buona condotta e reddito da lavoro.
I fitti erano medio-bassi rispetto al libero mercato, pari a circa il 3/4% del costo complessivo, ma non di rado i fitti erano oltre le possibilità economiche degli inquilini che potevano però usufruire saltuariamente di qualche riduzione sociale che gli Istituti offrivano.   C’è da dire che i pochi quartieri realizzati fino alla 1° guerra mondiale non erano molto appetibili perché abbastanza lontani dal centro e poco serviti, per cui molti alloggi erano sfitti.
Capitalismo industriale e movimento operaio si sviluppano da noi soprattutto nell'Italia settentrionale, a Milano e Torino ed è lì che sorgono questioni sociali e politiche sulla penuria e le cattive condizioni delle abitazioni, ma anche iniziative e dibattiti  politici sui modi degli interventi. Soprattutto gli ingegneri si occupavano delle case popolari, gli architetti (professione nata ufficialmente nel 1923) invece erano ancora impantanati nel dibattito sugli stili storici e il liberty, operando soprattutto nel restauro. Gli architetti emergeranno solo a metà anni  trenta schierati tra classicismo e razionalismo.
Il dibattito sulle proposte tipologiche della casa popolare oscilla tra soluzioni a casette isolate, edifici a blocco, edifici di altezza media.
 Le realizzazioni degli ICP sperimentano soprattutto: edifici di altezza media e edifici a cortile, e soprattutto a Roma, per ceti impiegatizi  tipologie a villini plurifamiliari. Al ceto lavoratore si propongono soprattutto edifici a quattro piani, a corte o in linea con alloggi di due vani, mentre ai ceti medi impiegatizi, che una legge del 1926 consentiva di finanziare col sistema del riscatto, alloggi più grandi a riscatto.
Gli ingegneri guardavano alla casa popolare come casa economica,  come  problema ” tecnico, igienico, economico, sociale” e proponevano sperimentazioni disordinate e isolate, ma dentro le  maglie dei piani di espansione 
La prima guerra mondiale porta una cesura tra il prima e il dopo esaltata dalla nascita nel 1925, che  cambia completamente la politica sociale verso i lavoratori e  degli ICP.

Tra gli interventi di questo periodo possiamo citare:
 il Quartiere di via Solari, 1905-06, Milano, Società. Umanitaria, 240 alloggi, 480 locali; un isolato a palazzine di quattro piani, unite da corpi ad un piano, con edifici per servizi al centro dello spazio cortilizio.  La Soc. Umanitaria (fondata dal banchiere Moisè Loria nel 1893) aveva uno spirito filantropico di assistenza e previdenza dei diseredati (cfr.: Milano, Grandi e Pracchi, pag. 116, intervento simile al Luzzatti a Napoli) e realizza due esempi modello di case popolari, con  impianto con edifici di bordo su strada, densità contenuta, spazi interni di un certo respiro, palazzine con 4 alloggi a piano di due vani, latrine sul balcone.  
Il Quartiere Mac MAHON, via Mac Mahon, 1908-09, Milano, Uff. Tecnico Comune di Milano, G. Ferrini. Nel quale il Comune sperimenta tipologie popolari a corte, a villini, a corti lunghe, a  case  a schiera a due piani. Tutte variazioni contenute dentro isolati rettangolari, tipici dei piani di espansione. Scolari pag. 50).
A Roma gli interventi espansivi sul tipo della borgata giardino a palazzine e villini hanno il merito di proporre una riflessione urbana sulla periferia imperniata sul disegno degli spazi pubblici, sul verde e sulle piazze, veri motori di sperimentazione stilistica neo medievale e rinascimentale, comunque enfatizzati verso il monumentale.
Viene realizzata la Città giardino Aniene, Roma, ICP, G. Giovannoni, I. Sabbatini, 1920-, un quartiere per ceti medi impiegatizi, ferrovieri e altri, con un impianto a strade curvilinee, un romanticismo da garden city, con bassa densità, palazzine e villini nel verde, parco pubblico, e un’architettura di luoghi che propone spazi urbani.
Nella Borgata giardino Garbatella, piazza B. Brin, Roma, 1920-22, ICP, G. Giovannoni, Massimo Piacentini, 190 alloggi. La legge Luzzatti consentiva interventi a favore dei lavoratori, ma anche interventi a favore di società cooperative. Alla Garbatella l’ICP realizza una borgata giardino per ceti medi impiegatizi già iniziata da altre società. G. Giovannoni e M Piacentini disegnano un quartiere giardino a villette, su una collina vicino in via Ostiense nella previsione, non avveratasi, di uno sviluppo industriale conseguente al progetto di navigabilità del Tevere. L’impianto a casette isolate e giardino, servizi, scuole e commercio, è qualificato da strade curvilinee, scalinate, piazze e da qualche palazzo di maggiori dimensioni sulla piazza Brin, centro del nuovo quartiere, che viene disegnato da Giovannoni con vaghi riferimenti sia ai sobborghi giardino inglesi, sia soprattutto al vernacolo dei piccoli comuni laziali, intrecciando riferimenti stilistici neo-medievali col barocchetto romano.
La bassa densità, il notevole verde privato e pubblico, le strade curvilinee, le decorazioni abbondanti, le piazzette disegnate, conferiscono all’intervento una sua qualità ambientale, una vita quieta, quasi da paese con qualche tocco urbano come il teatro e i bagni pubblici di I. Sabbatini. Dal 1927, complici gli sventramenti fascisti e i numerosi sfollati, si realizzano nuovi interventi molto intensivi che eliminano il verde e addensano fabbriche, gli alberghi rossi, che snaturano il quieto l’ambiente paesano a bassa densità.  Sono condomini di molti piani, che disegnano tre nuove piazze, con edifici che formano cortili chiusi mistilinei, con volumi articolati e scalettati. Progettati da I. Sabbatini, questi edifici monumentali immettono nel quartiere caratteri nuovi, urbani e moderni, pur conservando un’impronta classicista. Qualche timido esempio di razionalismo italianizzato si mostra nel 1928 a seguito della mostra internazionale di Roma  del  1928,  in piazza  S. Eurosia: De Renzi, Marconi,  Vietti, Marchi, Cancellotti cercano di uscire dal barocchetto egemone nel quartiere.
 Insolita la Casa a gradoni S. Ippolito, via della Lega Lombarda, Roma, 1929-30, ICP, I. Sabbatini, 89 alloggi piccoli , di due tre stanze. 6 gruppi scale con tre alloggi a scala senza balconi.  E’ un isolato a blocco di forma triangolare con piccolo cortile e piano terra commerciale. Un’architettura tettonica, di volumi, caratterizzato dal disegno orizzontale di semplici cornicioni, ordinati riquadri incassati dove sono le finestre e dallo scalettamento dei piani da 7 a 2, per migliorare l’insolazione del piccolo cortile e aggiungere ampi terrazzi agli alloggi.
Tre isolati al Quartiere Flaminio, piazza Perin del Vaga, ICP, 1925-27, T. Brener, De Renzi, A. Limongelli, G. Wittich; tre isolati con al centro una piazzetta pubblica, alloggi con balconi, piani terra residenziali, stile barocchetto romano e  spazialità urbana.
Unico il Villaggio della rivoluzione fascista, via Irma Bandiera, Bologna, 1936-38, IFACP, Francesco Santini; intervento per l’Associazione caduto, mutilati e feriti della rivoluzione; un villaggio a bassa densità, ampio verde, impianto a villette bifamiliari e quattro edifici a 4 piani, asilo nido. Una scelta d’avanguardia per il fascismo di provincia. .Esempio di architettura il Quartiere alla Fontana, Via P. Bassi, MI, Soc. Case Operai, bagni lavatoi, 1927-30,  di  E. Griffini, G. Manfredi. Un intervento privato d’isolato per ampie case operaie con attrezzature disegnato con linguaggio novecentista.
Il Quartiere Vittorio Veneto, Via Sospello, Torino, IACP, 1928-30, arch. Umberto Cuzzi, Un unico intervento di case e servizi (botteghe, asilo, lavatoio, bagni, cappella, piscina), un unico edificio a greca di 18 segmenti che occupa un intero isolato con spazio centrale libero. Un linguaggio novecentista caratterizzato da larghe fasce marcapiano d’intonaco su muratura in mattoni.
Il primo quartiere decisamente razionalista il Quartiere Fabio Filzi, Milano, 1935-38, IFACP, è l’intervento più significativo di una nuova stagione delle case popolari: abbandono della tradizione e del Novecento, accettazione e diffusione del razionalismo europeo.
Il Quartiere Alfa Romeo, Pomigliano d’arco, Iri, 1938-40, è legato alla fabbrica omonima per aeroplani, per i dipendenti della fabbrica Alfa Romeo, disegno dell’arch. comasco A. Cairoli.  
Nella privata fabbrica Olivetti di Ivrea, a Cantonvesco, 1940-42, Figini e Pollini, disegnano case a schiera per impiegati che si completano con servizi alla residenza nell’area della fabbrica e asilo nido.

In questo periodo una sperimentazione di quartieri giardino si attua a Milano (Soc. cooperativa a Cusano Milanino), e soprattutto a Roma con interventi pubblici alla Garbatella e alla borgata giardino Aniene (G. Giovannoni), destinati a ceti medi impiegatizi. 
La scelta tipologica e morfologica degli Istituti è ancora oscillante tra tipologie a blocco con cortile, a schiera, a palazzine di 4 piani che vengono proposte anche tutte insieme per rispondere ad una domanda variegata della classe dei lavoratori. I nuovi interventi rispettano i piani regolatori, e si situano nelle previsioni d’espansione, risultando omogenei allo sviluppo della città.  
Oltre alle case pubbliche, lo Stato crea nuovi Enti come l’INCIS (1924 per ceti medi impiegatizi, e finanzia società cooperative soprattutto a Roma, dove si realizzano col concorso del pubblico (alloggi 1/3 al Comune, 2/3 al privato costruttore) grandi quantità di interventi.  
Negli anni trenta si affermano i primi tentativi, molto dibattuti fra tradizionalisti e modernisti, di quartieri razionalisti soprattutto a Milano con Albini, Palanti, Camus, Griffini, a Ivrea con interventi per impiegati Olivetti di Figini e Pollini.  
Sul piano politico col fascismo vengono esautorati i Comuni, accentrata la gestione degli Istituti a Roma nei Ministeri, aumentati i finanziamenti, ma solo per case riservate al pubblico impiego statale speciale (giustizia, polizia, corpi militari, etc), riducendo i servizi collettivi nei quartieri.  A Roma, ma anche a Torino l’Istituto si fa carico della sistemazione nelle borgate degli sfollati degli sventramenti.
Milano e Roma hanno espresso i maggiori punti di riferimento teorico: funzionalismo milanese e vernacolo provinciale romano/laziale su base classicista.
Durante il fascismo c’è stata una caratterizzazione estetica e/o restyling in stile eclettico degli edifici popolari, scelte   neo-classiche  o neo barocche,  fatte dagli ingegneri e dai funzionari ICP.  Poi la modernità si è espressa nella tecnica costruttiva del c.a. e nella nudità del  razionalismo, con una ricerca d’italianizzazione dei modelli europei. Salvo l’accezione di Milano, il razionalismo si espanderà nelle case popolari solo nel dopoguerra. Contribuiva all’espansione del razionalismo il cambio tecnologico della struttura resistente dell’edificio che da muratura portante diventava composta da travi , pilastri e tompagni e consentiva una libertà progettuale mai avuta.    


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