Nella
seconda metà dell’Ottocento, la filantropia, il mutuo soccorso operaio, i villaggi
operai delle industrie, insieme al pensiero socialista, creano le condizioni
per una trasformazione della politica liberale. Sul tema della casa emerge una
maggiore attenzione al sociale e al problema tecnico che spinge gli Stati
nazionali ad interventi pubblici di case
economiche per mitigare i disagi abitativi
dovuti all’anarchia dello sviluppo industriale e agli immigrati dalle campagne.
Inoltre,
sul piano culturale la nascita delle Garden
Cities inglesi a cavallo del secolo, mostra anche un diverso modo di fare
nuove città, alternativo alla congestione industriale capitalistica della città
ottocentesca, e anche adatto ad ampliare le città esistenti: casette individuali, bassa densità,
molto verde: un modello di città che sarà poco usato da noi e solo per ceti medi impiegatizi
in borgate giardino come la Garbatella e
Aniene a Roma, ea Cusano Milanino.
Quello che
accade alla città ad inizio novecento oltre alle sconquasso delle nuove infrastrutture
(tram e treni e allargamenti stradali, infrastrutture primarie, etc.) conferma
i tracciati urbani e i disegni di ampliamento. L’urbanizzazione è poco
vincolata, spesso “ a macchia d’olio”, con interventi disordinati che non
costruiscono nuovi luoghi. Solo l’uso morfologico dell’isolato garantisce la
permanenza della forma urbana che si lacera invece nel secondo dopoguerra con l’enorme
espansione delle città, quando gli interventi prenderanno forme libere e autonome,
rompendo l’unità storica urbana.
1903-1925
Nel 1903 il
governo Giolitti emana la legge Luzzatti, (1903, rivista 1908) che prevede per
ogni Comune la costituzione di un Ente (morale) per realizzare case popolari (ICP)
per lavoratori, artigiani, commercianti, e sostenere società cooperative. E’
una legge liberale e interclassista che evidenzia in tutto il paese, la
necessità di affrontare il tema delle case per i lavoratori ormai fatto
concreto e negativo dello sviluppo industriale e della periferia urbana. Lo Stato
però non finanzia le opere, ma si limita a guidare il processo di attuazione; lo
Stato concede esenzioni fiscali, paga in parte gli interessi sui mutui
contratti dagli ICP, e qualche volta concede suoli. Gli ICP non nascono come Enti
pubblici (a Milano l’esperienza socialista nel Comune che aveva costituito un
Ente municipale a carico del Comune che si occupava di case popolari, era stata interrotta dall’alleanza tra
liberali e conservatori), stanno a metà
tra le Municipalizzate comunali che
impegnavano il bilancio comunale e la libera iniziativa
immobiliare : insomma i nuovi ICP nascono
come Enti economici autonomi, detti Enti
morali (sociali) che costruiscono case e le gestiscono coi soldi
degli affitti e le donazioni della beneficienza privata o pubblica.
La politica liberale considerava la casa,
un capitale e il fitto come interesse (M. Bonfanti e Scolari, La vicenda
politica e urbanistica dell’ICP di Milano, pag. 11), e la legge
Luzzatti ne fu l’espressione.
La legge,
articolata in norme redatte da ogni singolo ente comunale, prevedeva che per accedere
a una casa popolare bisognava avere buona condotta e reddito da lavoro.
I fitti erano medio-bassi rispetto al libero mercato, pari a
circa il 3/4% del costo complessivo, ma non di rado i fitti erano oltre le
possibilità economiche degli inquilini che potevano però usufruire saltuariamente
di qualche riduzione sociale che gli Istituti offrivano. C’è da
dire che i pochi quartieri realizzati fino alla 1° guerra mondiale non erano
molto appetibili perché abbastanza lontani dal centro e poco serviti, per cui molti
alloggi erano sfitti.
Capitalismo industriale e movimento operaio si
sviluppano da noi soprattutto nell'Italia settentrionale, a Milano e Torino ed
è lì che sorgono questioni sociali e politiche sulla penuria e le cattive
condizioni delle abitazioni, ma anche iniziative e dibattiti politici sui modi degli interventi.
Soprattutto gli ingegneri si occupavano delle case popolari, gli architetti (professione
nata ufficialmente nel 1923) invece erano ancora impantanati nel dibattito
sugli stili storici e il liberty, operando soprattutto nel restauro. Gli
architetti emergeranno solo a metà anni
trenta schierati tra classicismo e razionalismo.
Il dibattito sulle proposte tipologiche della casa
popolare oscilla tra soluzioni a casette isolate, edifici a blocco, edifici di
altezza media.
Le realizzazioni degli ICP sperimentano
soprattutto: edifici di altezza media e edifici a cortile, e soprattutto a
Roma, per ceti impiegatizi tipologie a
villini plurifamiliari. Al ceto lavoratore si propongono soprattutto edifici a
quattro piani, a corte o in linea con alloggi di due vani, mentre ai ceti medi
impiegatizi, che una legge del 1926 consentiva di finanziare col sistema del
riscatto, alloggi più grandi a riscatto.
Gli ingegneri guardavano
alla casa popolare come casa economica, come problema
” tecnico, igienico, economico, sociale” e proponevano sperimentazioni
disordinate e isolate, ma dentro le
maglie dei piani di espansione
La prima
guerra mondiale porta una cesura tra il prima e il dopo esaltata dalla nascita
nel 1925, che cambia completamente la
politica sociale verso i lavoratori e degli
ICP.
Tra
gli interventi di questo periodo possiamo citare:
il Quartiere
di via Solari, 1905-06, Milano, Società.
Umanitaria, 240 alloggi, 480 locali; un isolato a palazzine di quattro piani,
unite da corpi ad un piano, con edifici per servizi al centro dello spazio
cortilizio. La Soc. Umanitaria (fondata
dal banchiere Moisè Loria nel 1893) aveva uno spirito filantropico di
assistenza e previdenza dei diseredati (cfr.: Milano, Grandi e Pracchi, pag.
116, intervento simile al Luzzatti a Napoli) e realizza due esempi modello di
case popolari, con impianto con edifici
di bordo su strada, densità contenuta, spazi interni di un certo respiro, palazzine
con 4 alloggi a piano di due vani, latrine sul balcone.
Il Quartiere
Mac MAHON, via Mac Mahon, 1908-09, Milano, Uff. Tecnico Comune di Milano, G.
Ferrini. Nel quale il Comune sperimenta tipologie popolari a corte, a villini, a
corti lunghe, a case a schiera a due piani. Tutte variazioni
contenute dentro isolati rettangolari, tipici dei piani di espansione. Scolari
pag. 50).
A
Roma gli interventi espansivi sul tipo della borgata giardino a palazzine e
villini hanno il merito di proporre una riflessione urbana sulla periferia
imperniata sul disegno degli spazi pubblici, sul verde e sulle piazze, veri
motori di sperimentazione stilistica neo medievale e rinascimentale, comunque enfatizzati
verso il monumentale.
Viene
realizzata la Città giardino Aniene, Roma,
ICP, G. Giovannoni, I. Sabbatini, 1920-, un quartiere per ceti medi
impiegatizi, ferrovieri e altri, con un impianto a strade curvilinee, un romanticismo
da garden city, con bassa densità, palazzine e villini nel verde, parco
pubblico, e un’architettura di luoghi che propone spazi urbani.
Nella Borgata giardino Garbatella, piazza B. Brin, Roma, 1920-22, ICP, G.
Giovannoni, Massimo Piacentini, 190 alloggi. La legge Luzzatti consentiva interventi
a favore dei lavoratori, ma anche interventi a favore di società cooperative.
Alla Garbatella l’ICP realizza una borgata giardino per ceti medi impiegatizi
già iniziata da altre società. G. Giovannoni e M Piacentini disegnano un
quartiere giardino a villette, su una collina vicino in via Ostiense nella previsione,
non avveratasi, di uno sviluppo industriale conseguente al progetto di navigabilità
del Tevere. L’impianto a casette isolate e giardino, servizi, scuole e
commercio, è qualificato da strade curvilinee, scalinate, piazze e da qualche
palazzo di maggiori dimensioni sulla piazza Brin, centro del nuovo quartiere,
che viene disegnato da Giovannoni con vaghi riferimenti sia ai sobborghi
giardino inglesi, sia soprattutto al vernacolo dei piccoli comuni laziali,
intrecciando riferimenti stilistici neo-medievali col barocchetto romano.
La bassa densità, il notevole verde
privato e pubblico, le strade curvilinee, le decorazioni abbondanti, le piazzette
disegnate, conferiscono all’intervento una sua qualità ambientale, una vita quieta,
quasi da paese con qualche tocco urbano come il teatro e i bagni pubblici di I.
Sabbatini. Dal 1927, complici gli sventramenti fascisti e i numerosi sfollati,
si realizzano nuovi interventi molto intensivi che eliminano il verde e
addensano fabbriche, gli alberghi rossi, che snaturano il quieto l’ambiente paesano
a bassa densità. Sono condomini di molti
piani, che disegnano tre nuove piazze, con edifici che formano cortili chiusi
mistilinei, con volumi articolati e scalettati. Progettati da I. Sabbatini,
questi edifici monumentali immettono nel quartiere caratteri nuovi, urbani e
moderni, pur conservando un’impronta classicista. Qualche timido esempio di
razionalismo italianizzato si mostra nel 1928 a seguito della mostra internazionale
di Roma del 1928,
in piazza S. Eurosia: De Renzi,
Marconi, Vietti, Marchi, Cancellotti
cercano di uscire dal barocchetto egemone nel quartiere.
Insolita la Casa a gradoni S. Ippolito, via della Lega Lombarda, Roma, 1929-30,
ICP, I. Sabbatini, 89 alloggi piccoli , di due tre stanze. 6 gruppi scale con
tre alloggi a scala senza balconi. E’ un
isolato a blocco di forma triangolare con piccolo cortile e piano terra
commerciale. Un’architettura tettonica, di volumi, caratterizzato dal disegno
orizzontale di semplici cornicioni, ordinati riquadri incassati dove sono le
finestre e dallo scalettamento dei piani da 7 a 2, per migliorare l’insolazione
del piccolo cortile e aggiungere ampi terrazzi agli alloggi.
Tre
isolati al Quartiere Flaminio, piazza Perin del Vaga, ICP, 1925-27,
T. Brener, De Renzi, A. Limongelli, G. Wittich; tre isolati con al centro una
piazzetta pubblica, alloggi con balconi, piani terra residenziali, stile
barocchetto romano e spazialità urbana.
Unico il Villaggio della rivoluzione fascista, via Irma Bandiera, Bologna,
1936-38, IFACP, Francesco Santini; intervento per l’Associazione caduto, mutilati
e feriti della rivoluzione; un villaggio a bassa densità, ampio verde, impianto
a villette bifamiliari e quattro edifici a 4 piani, asilo nido. Una scelta
d’avanguardia per il fascismo di provincia. .Esempio di architettura il Quartiere alla Fontana, Via P. Bassi, MI, Soc. Case Operai, bagni lavatoi,
1927-30, di E. Griffini, G. Manfredi. Un intervento
privato d’isolato per ampie case operaie con attrezzature disegnato con linguaggio
novecentista.
Il Quartiere
Vittorio Veneto, Via Sospello, Torino, IACP, 1928-30, arch. Umberto Cuzzi, Un
unico intervento di case e servizi (botteghe, asilo, lavatoio, bagni, cappella,
piscina), un unico edificio a greca di 18 segmenti che occupa un intero isolato
con spazio centrale libero. Un linguaggio novecentista caratterizzato da larghe
fasce marcapiano d’intonaco su muratura in mattoni.
Il primo quartiere decisamente
razionalista il Quartiere Fabio Filzi,
Milano, 1935-38, IFACP, è l’intervento più significativo di una nuova
stagione delle case popolari: abbandono della tradizione e del Novecento,
accettazione e diffusione del razionalismo europeo.
Il Quartiere
Alfa Romeo, Pomigliano d’arco, Iri, 1938-40, è legato alla fabbrica omonima
per aeroplani, per i dipendenti della fabbrica Alfa Romeo, disegno dell’arch.
comasco A. Cairoli.
Nella
privata fabbrica Olivetti di Ivrea, a Cantonvesco,
1940-42, Figini e Pollini, disegnano case a schiera per impiegati che si
completano con servizi alla residenza nell’area della fabbrica e asilo nido.
In questo
periodo una sperimentazione di quartieri giardino si attua a Milano (Soc. cooperativa
a Cusano Milanino), e soprattutto a Roma con interventi pubblici alla
Garbatella e alla borgata giardino Aniene (G. Giovannoni), destinati a ceti
medi impiegatizi.
La scelta
tipologica e morfologica degli Istituti è ancora oscillante tra tipologie a
blocco con cortile, a schiera, a palazzine di 4 piani che vengono proposte
anche tutte insieme per rispondere ad una domanda variegata della classe dei
lavoratori. I nuovi interventi rispettano i piani regolatori, e si situano
nelle previsioni d’espansione, risultando omogenei allo sviluppo della città.
Oltre alle
case pubbliche, lo Stato crea nuovi Enti come l’INCIS (1924 per ceti medi impiegatizi, e finanzia società
cooperative soprattutto a Roma, dove si realizzano col concorso del pubblico (alloggi
1/3 al Comune, 2/3 al privato costruttore) grandi quantità di interventi.
Negli anni
trenta si affermano i primi tentativi, molto dibattuti fra tradizionalisti e
modernisti, di quartieri razionalisti soprattutto a Milano con Albini, Palanti,
Camus, Griffini, a Ivrea con interventi per impiegati Olivetti di Figini e
Pollini.
Sul piano
politico col fascismo vengono esautorati i Comuni, accentrata la gestione degli
Istituti a Roma nei Ministeri, aumentati i finanziamenti, ma solo per case
riservate al pubblico impiego statale speciale (giustizia, polizia, corpi militari,
etc), riducendo i servizi collettivi nei quartieri. A Roma, ma anche a Torino l’Istituto si fa
carico della sistemazione nelle borgate degli sfollati degli sventramenti.
Milano e Roma hanno
espresso i maggiori punti di riferimento teorico: funzionalismo milanese e
vernacolo provinciale romano/laziale su base classicista.
Durante il
fascismo c’è stata una caratterizzazione
estetica e/o restyling in stile eclettico degli edifici popolari,
scelte neo-classiche o neo barocche, fatte dagli ingegneri e dai funzionari
ICP. Poi la modernità si è espressa
nella tecnica costruttiva del c.a. e nella nudità del razionalismo, con una ricerca d’italianizzazione
dei modelli europei. Salvo l’accezione di Milano, il razionalismo si espanderà
nelle case popolari solo nel dopoguerra. Contribuiva all’espansione del
razionalismo il cambio tecnologico della struttura resistente dell’edificio che
da muratura portante diventava composta da travi , pilastri e tompagni e
consentiva una libertà progettuale mai avuta.
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