L’edificio dell’Arena flegrea
di Giulio De Luca e Giuseppe Squillante è un’architettura unica tra le
architetture contemporanee italiane: un’arena scoperta d’impianto classico che
richiama modelli ellenistici posta in un contesto architettonico significativo
del periodo fascista, non è cosa che si
incontra spesso nell'urbanistica moderna. Straordinaria per la sua
grande dimensione, circa 6000 spettatori, essa soffre per una caratteristica
anacronistica: la mancanza di confort per gli spettatori seduti all'aperto e la
poca programmabilità di grandi spettacoli dipendenti dalle eventuali condizioni
meteorologiche.
L’attuale Arena è la
sostituzione della vecchia del 1939 di Giulio De Luca che subì
un costante decadimento e poi l’abbandono definitivo
dovuto, tra l’altro, ad una
progressiva marginalizzazione dell’edificio per poco, difficile e
costoso uso e per una conseguente trascuratezza manutentiva rivelatasi
quasi esiziale per una struttura scoperta in cemento armato. Per certi
versi tale processo di decadimento è già iniziato anche per la nuova arena del
2001 che è sorta sui ruderi della vecchia.
Appare evidente che il
processo di marginalizzazione di un cosi vasto edificio scoperto non è
risolvibile con continue costose
manutenzioni ; ma probabilmente da un progetto di completamento che, in quest’Italia dei
divieti e delle cose mal realizzate, ha
già una lunga storia di studi progettuali a partire dal 1969.
Un ripensamento
progettuale dell’edificio, nel senso di una sua migliore funzionalità e durata,
presuppone senz’altro un aumento dell’offerta funzionale che includa anche la
funzione congressistica, la realizzazione della copertura della cavea per
assicurare il necessario confort agli spettatori, un miglioramento dell’acustica
con conseguente ampliamento delle stagioni di apertura non più concentrate nel
solo periodo estivo.
Se si considera che oggi nessuno
concepisce uno stadio di calcio o una tribuna numerata di F1 con spettatori
allo scoperto, si comprende come l’anacronismo e il destino all’insuccesso dell’attuale
arena flegrea scoperta sia quasi certo.
E’ innegabile che un’Arena,
come un anfiteatro o un teatro ellenistico, appartenga a quegli edifici dell’antichità
che hanno il cielo come soffitto e il mare o le valli come fondale; ma ad un
edificio moderno viene richiesto di
soddisfare requisiti funzionali adeguati all'oggi pena la sua inutilizzazione.
L’Arena flegrea ha un
impianto classico ma non è un monumento: essa è pienamente un edificio della
nostra modernità recente. La vitalità e
numerosità di pubblico che partecipa agli spettacoli rappresentati nei
monumenti antichi come nei teatri ellenistici siciliani o nell’anfiteatro di
Verona, non ci deve trarre in inganno: quelle esperienze sono uniche e singolari
e ricercate dal grosso pubblico anche in mancanza di confort.
Tracciare delle linee
guida (A) per la realizzazione del progetto di copertura ha quindi il senso di
mettere in campo le condizioni per un ripensamento funzionale dell’edificio, per
renderlo adeguato a un pubblico esigente, consentire una maggiore gamma di
funzioni e per una più lunga durata
stagionale, migliorare se possibile l’acustica e infine salvaguardare l’edificio
dagli effetti perversi del ciclo poco uso- degrado .
Negli oltre quarant’anni
di tentativi senza esito di progettare una rifunzionalizzazione dell’arena da
parte di De Luca, molto dell’insuccesso fu dovuto a mancanza di fondi, ma molto
anche ad un malinteso senso del restauro tutto schiacciato sulla conservazione e quindi insensibile alle urla di dolore di
edifici divenuti ormai inadeguati. Se si fosse approvato il bellissimo progetto
di De Luca del 1977, avremmo avuto un risultato sorprendente: conservare la
vecchia arena del 1939 e avere una cavea coperta da una spettacolare vela
sospesa. Perso l’edificio del 1939,
dovremmo cercare di non perdere l’edificio del 2001 aiutando la sua
trasformazione, garantendo la compatibilità architettonica della nuova
copertura con la fabbrica esistente e accettare di non dover nascondere al
contesto, per un cattivo senso del
passato-presente, il nuovo che emerge
in punta di piedi. Canino volle la
vecchia arena isolata dentro una zolla verde, un landmark dentro un bosco
mediterraneo che guardava la collina di Monte S.Angelo, affidato al disegno del
giovane allievo De Luca. La nuova arena che oggi ne occupa il sito eredita
l’isolamento e la debole partecipazione al contesto con una relativa indipendenza dall’intorno che si sostanzia in una possibile
vita autonoma.
I progetti di copertura del 1977 e del 1988
Una breve disamina dei
progetti di trasformazione di Giulio De
Luca può aiutarci a stabilire alcuni obiettivi e criteri del progetto di
copertura e trasformazione dell’arena. Dei due progetti noti, il più significativo è
quello del 1977 ( foto 1) studiato da De Luca con una equipe qualificata di
progettisti e docenti della Facoltà di
Napoli ( 1). Il progetto proponeva
trasformazioni significative come la costruzione di gradinate per spettatori
dietro al palcoscenico alla maniera delle avanguardie tedesche, un uso differenziato dell’edificio con la previsione di nuove attività congressistiche con sale e
salette a diversa scala ricavate al di sotto della cavea , ed infine una immensa copertura che copriva anche il palcoscenico ed i nuovi giri di gradinate.
La cosa stupefacente è proprio la copertura, disegnata a forma di struttura
lenticolare (molto simile alla struttura dell’attuale nuovo stadio di
Torino) composta da un insieme di travi reticolari sostenute con stralli ancorati a due grossi piloni in acciaio impostati sulle
torri del boccascena ridisegnate.
La qualità della
copertura non è solo quella di essere stata calcolata in modo approfondito
dagli strutturisti ma dall’essere
sospesa sull’arena e sulla cavea senza nessun punto di attacco con essa: una
vela convessa e rigonfia al di sopra degli spettatori.
Un’idea geniale anche se
di enorme difficoltà realizzativa: una sfida progettuale e tecnologica tutta
interna al dibattito degli anni settanta
sul gigantismo strutturale con cui De Luca andava misurandosi com’è evidente
osservando il suo contemporaneo progetto per il Terminal della Circumvesuviana
(1972).
Il secondo progetto del
1988 (foto 2), redatto da De Luca in pochissimo tempo, è meno interessante dal
nostro punto di vista perché è, in effetti, l’esatto contrario del primo.
Mentre il primo è un progetto di copertura dell’arena, il secondo è un progetto
di edificio chiuso, come un nuovo teatro o un centro congressi, con un’alta
torre scenica al pari di quella del vicino teatro Mediterraneo.
Il primo progetto ci
interessa maggiormente perché esso è interno a un tentativo di recupero
dell’arena del 1939 e , pur
violentandola con la immensa copertura, ne
conserva molti caratteri architettonici. Il secondo invece è un progetto di totale
trasformazione e alterazione della vecchia arena non più riconoscibile.
L’edificio attuale
L’edificio attuale nasce
come progetto di demolizione e ricostruzione della vecchia arena ritenuta nel
1989 non più recuperabile. (2)
Interamente riprogettata
con setti in c. e volte cementizie, la nuova arena conserva l’impianto tipologico
della vecchia dentro una nuova forma e con nuovi materiali: un rivestimento interno
in travertino e intonaco a cemento all’esterno ( foto 3)
De Luca elimina la
componente monumentale e classicheggiante del
vecchio edificio e progetta il
nuovo senza grazie, scarno e nudo nella sua accentuata dinamica, esaltando le diagonali dei setti della cavea
e le pareti inclinate dei corpi laterali.
Eliminato il frontone a
mosaico della vecchia arena, eliminate le parti a prato delle scalee d’ingresso,
la nuova bellissima cavea conserva una sua potente monumentalità attraverso la
materialità del rivestimento omogeneo in travertino, le sfuggenti e massicce
pareti inclinate dei corpi laterali di chiusura e le alte e possenti torri del
boccascena, due parallelogrammi rastremati in alto disegnati per assecondare la
visibilità del palcoscenico.
Ci si sarebbe aspettato
che finalmente De Luca, dopo decenni di studi e proposte, avesse riprogettato
la nuova arena almeno con la previsione di una copertura futura non potendo egli
progettarne una nel poco tempo che ebbe a disposizione e nelle condizioni maturate per
il progetto stesso di ricostruzione. Cosi sembra non sia stato ; ma da notizie
ricevute dal co-autore Giuseppe Squillante emerge che nel lungo tempo di attesa tra il progetto
e realizzazione, quasi undici anni, De
Luca avesse continuato a lavorare a questa
idea della copertura salvo poi decidere
, forse per stanchezza e vecchiaia, di
rinunciare.(3)
Criteri , limiti e prestazioni
E’ evidente che date le
dimensioni della cavea (un settore circolare di misure 40/114 e potenza di 68 m
pari a circa 5500 mq) il progetto di una copertura sia un’impresa complessa e
difficile perché si tratta di adeguare le possibilità tecniche e tecnologiche
delle grandi coperture a un’architettura esistente che non si vuole
stravolgere. Inoltre il contesto in cui si trova l’edificio richiede
molta attenzione , non tanto allo
stile tecnologico della copertura stessa quanto alla misura del progetto
stesso e al suo
impatto paesistico in un luogo vincolato.
La riduzione dell’impatto
paesistico e architettonico dell’intervento dovrà passare inevitabilmente per
un progetto di copertura leggera che, senza stravolgere il carattere architettonico
dell’edificio attuale, possa mantenere all’arena quella sospensione tra la memoria
del vecchio, la persistenza del nuovo e la nuova futura immagine. Un’immagine
che dovrà essere più vicina all’immagine di una copertura dell’edificio attuale
che una nuova costruzione coperta e chiusa. Una copertura “sospesa” quindi che
non chiuda ermeticamente la cavea ed eventualmente
il palcoscenico; ma lasci un distacco, una separazione fisica e formale, dove
possano circolare volumi d'aria (si veda il distacco progettato da De Luca nel
1977).
Dovrà inoltre essere
garantita la maggiore visibilità possibile a tutti gli spettatori eliminando o
riducendo per quanto possibile, i sostegni interni nella cavea e nel
palcoscenico. Tale scelta dipenderà
ovviamente anche dal risultato delle indagini strutturali sulle capacità di
resistenza delle attuali strutture in c.a.
alle strutture della nuova copertura che potranno orientare meglio sulla scelta dei tipi di attacco nuovo/vecchio.
Saranno necessari
contributi specialistici per i vari settori che il progetto della copertura richiede
come strutturisti, impiantisti ed esperti del suono. In questa sede si vogliono
solo indicare le tematiche
principali che potranno poi
essere sviluppate con progetti ed indagini specifiche.
Le condizioni che il
progetto della copertura deve soddisfare sembrano tendere verso un uso di coperture
leggere del tipo a tensostrutture, oppure a graticcio di funi, a travi reticolari strallate o a coperture di tipo
misto, per citare quelle più diffuse ; ma la scelta dovrà ricadere comunque su
strutture che si adattino all’ingombro di pianta e alla sagoma dell’arena.
Anche la scelta della
membrana di copertura dovrà essere valutata in relazione agli obiettivi da raggiungere
sia all’interno che all’esterno dell’arena come un’alta resistenza alle
tensioni dovute alle grandi luci, una
durata agli agenti atmosferici,
proprietà ignifughe, termoisolanti, impermeabilità e fonoassorbenza, ed una controllata traslucidità. Infine sarà anche necessario
che il sistema copertura adottato assicuri una facilità di montaggio e
smontaggio, come del resto le tensostrutture garantiscono, per operare quando
necessario nelle stagioni morte, la sua rimozione.
All’esterno il profilo e
l’ingombro della copertura creeranno inevitabilmente una nuova immagine
dell’edificio che dovrà essere compatibile per forma, dimensione, colore e
altezza con l’architettura dell’arena senza creare un invasivo impatto col
contesto.
All’interno l’intervento
si dovrà misurare con la creazione di un nuovo spazio scenico della cavea, uno
spazio che riesca a confermare se non a migliorare l’ acustica
esistente e rendere confortevole la permanenza degli spettatori,
agendo sul microclima della cavea
per luce, temperatura, condensa,
pioggia, ventilazione e rumore.
Dal punto di vista dello
studio dello spazio interno la copertura costituirà inevitabilmente il nuovo
cielo dell’arena e sarà una trasformazione radicale della percezione dello
spazio della cavea sia per l’eliminazione della vista del cielo notturno sia
per la grande dimensione che sarà imponente e grandiosa sullo spettatore.
Un cielo di tessuto, con trama
e disegni, dovrà essere studiato non solo per forma, ma anche per colore e grado
di trasparenza. In particolare, nel caso
di copertura traslucida, andrà studiato l’effetto all’interno della luce solare
estiva e valutato anche l’impatto
luminoso notturno del nuovo oggetto nel contesto della Mostra.
Il nuovo invaso spaziale
della cavea avrà il suo punto critico nel raccordo tra copertura e boccascena
sia perché le due torri avranno una funzione strutturale nel sostenere la
copertura sia, soprattutto, perché il boccascena assumerà una nuova forma e disegno:
da boccascena aperto a boccascena chiuso con probabile ponte.
La qualità principale del
palcoscenico risiede nella sua apertura verso la natura, alla maniera greca. La
collina di verde con alberi di alto fusto rappresenta, infatti, il traguardo
dell’occhio dello spettatore e tale qualità va garantita a ogni livello di
gradonate.
Miglioramento della qualità acustica della sala
Una delle più importanti conseguenze
della copertura della cavea sarà una
modifica del rumore di fondo e dell’acustica
dell’arena che oggi, per unanime
convincimento, è ritenuta di buona
qualità .
Un buon progetto di
copertura potrebbe migliorare l’acustica esistente sia con un adeguato disegno
di forma - si sa, infatti, che una forma concava è negativa mentre una forma convessa è migliorativa-, sia mettendo in campo correzioni acustiche come
pannelli fonoassorbenti, schermi, baffles etc.
Lo studio acustico degli
spazi coperti da membrane o tessuti
è ancora oggi
sperimentale e la sua
progettazione necessità di
interventi di correzione in fase di realizzazione
che vanno attentamente
monitorati con misurazioni fonometriche
del tempo di riverberazione.
La scelta del tipo di
materiale della membrana (mono o multi membrana, PVC, teflon, membrane
fonoassorbenti, a coibenza termica, etc) sarà quindi decisiva per l’acustica in
relazione al tipo di frequenze di suono da garantire : concerti e parlato, e per evitare fenomeni di rimbombo. Un’eventuale messa in
opera di sedili andrà anche verificata dal punto di vista acustico.
Climatizzazione e ventilazione
In relazione all’ampliamento
delle stagioni di uso dell’arena appare
opportuno studiare un sistema di
ventilazione /climatizzazione che assicuri
un confortevole microclima
interno nelle diverse stagioni meteorologiche
della programmazione, in grado di
eliminare la condensa e senza aumentare la rumorosità di fondo
della sala.
Trattandosi di una
copertura leggera e non di una chiusura ermetica della cavea, l’eliminazione
degli effetti negativi della pioggia e del vento sull’acustica e il microclima
della sala appare possibile solo entro
condizioni di pioggia lieve e vento debole mentre nelle condizioni di vento
teso e pioggia battente gli effetti negativi non appaiono facilmente eliminabili in quanto
le coperture leggere hanno massa quasi
inesistente. Tali effetti negativi limiteranno in ogni caso l’uso dell’arena
flegrea alle condizioni meteorologiche di soglia.
Copertura del palcoscenico
La copertura della cavea
potrebbe essere estesa anche al palcoscenico (circa 2600 mq. con luce libera di
circa 45 m.) per migliorane la
funzionalità d’uso. Una copertura disegnata in continuità o separata da quella
della cavea potrebbe utilizzare anche sostegni verticali esterni dell’emiciclo,
mascherati nel verde esistente.
Va considerato però che
attori, congressisti e cantanti hanno esigenze diverse fra loro e non sempre
compatibili con un palcoscenico coperto; per esempio i concerti di musica
contemporanea usano strutture autonome come l’Americana, complete di luci e diffusori acustici che non hanno bisogno
di copertura.
In sostanza per
rispondere alle più svariate esigenze di spettacolo e assicurare a tutti la visione
del verde è necessario che un’eventuale copertura sia posta molto alta sul
piano del palcoscenico e possa anche essere facilmente e velocemente rimovibile
per rispondere alle diverse esigenze dello spettacolo.
Impatto paesistico della nuova copertura
Il punto critico della
nuova copertura dal punto di vista dell’impatto paesistico non risiede certo
nello stile del progetto, quanto nel suo ingombro in altezza che potrebbe
provocare, se percepito dall’esterno, una variazione non accettabile del
paesaggio contestuale.
Dal punto di vista dello
stile non c’è dubbio che la Mostra del 1939, nata come fiera della varietà dei
prodotti dell’impero, sia stata organizzata da Canino come un insieme urbano indifferente
all’omogeneità stilistica degli edifici a differenza di come invece è accaduto
all’Eur di Piacentini.
Già nel 1939 la Mostra
era indicata come un eccentrico insieme che conteneva almeno tre stili
dominanti (Razionalismo mediterraneo, esotismo imperiale, monumentalismo
celebrativo) che convivevano entro un disegno morfologico di strade e verde dal
carattere assiale continuamente interrotto.
Dal punto di vista
paesaggistico la posizione isolata dell’arena è favorevole a una sua autonomia
formale a patto che la sua eventuale nuova
altezza, a causa della copertura, non sia un elemento dirompente nella percezione
visiva consentita dalle strade perimetrali in cui è racchiusa l’arena. Il sito
dell’arena è posto all’interno di una zolla verde chiusa all’esterno, verso le
strade perimetrali, da alte alberature, ed è chiusa anche verso la lunghissima
fontana dell’esedra dall’edificio di Chiaromonte che volge all’arena il suo
lato postico, schermato da altri alberi. L’unico punto di visione della nuova
copertura potrà essere quindi lo slargo d’ingresso, ma qui la questione si
sposta dal piano paesistico al piano architettonico in quanto lo slargo è tutto
interno alla zolla e non esterno ad essa e per di più protetto da alte
alberature.
(a) Lavoro di Ricerca, Convenzione : Dipartimento di Architettura, Università degli studi di Napoli e Mostra d'Oltremare di Napoli, Linee Guida , Giugno 2013
(1) il progetto preliminare di “Restauro,
Ristrutturazione e Recupero dell’Arena flegrea” è stato redatto nel 1977 da
un’equipe di progettisti composta dagli arch. : G. De Luca, C.Gubitosi, M.Pica
Ciamarra, A.De Rosa, C.Ulisse, dott. F.Fittipaldi (acustica), ing. F.Reale,
(impianti) ing. R. Sparacio (strutture).
(2) si veda la ricostruzione storica delle
vicende progettuali fatta da B. Gravagnuolo, Fatta, disfatta e rifatta, l’Arena
flegrea di G.De Luca , in ANANKE, n.48 , 2006 e lo scritto fatto per questa
convenzione da G.Menna “ L’Arena flegrea di Giulio De Luca, 1938-2001”, 2013.
(3) Giuseppe Squillante mi ha raccontato che De Luca una
mattina gli lasciò una lettera allo studio nella quale lo informava che rinunciava
a pensare ancora ad una copertura dell’arena che riteneva ormai impraticabile.
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