sabato 9 febbraio 2013

periferie dimenticate


I programmi di riqualificazione delle periferie non sono azioni che si realizzano in tempi brevi.  Disagio sociale e degrado edilizio si sommano in una miscela che può vanificare facilmente qualunque sforzo. Ma il nostro compito  principale  resta  quello di porre mano a questo fallimento  urbanistico che si è prodotto nei quartieri pubblici del secondo dopoguerra e tentare di riqualificarli con operazioni  pazienti e ad ampio raggio che possono durare decenni.
Non corrispondono quindi questi interventi cosi lunghi, ai tempi corti della politica. Le iniziative governative, regionali o comunali in questo senso producono risultati solo dopo, tre, quattro  stagioni politiche di cui nessuno può vantare l’esclusiva.
Ai Comuni poi compete portare avanti iniziative di altri e proporre nuove iniziative che altri completeranno; ma a  Napoli però sembra che questo altalenante movimento non stia avvenendo.
Non solo non sono sostenute le iniziative di riqualificazione in corso da tempo , ma non ne sono proposte di nuove a dimostrazione di una trascuratezza e una mancanza d’interesse per la periferia assai negativa.
Languono o sono fermi tutti quei vecchi interventi compresi nei piani di riqualificazione urbana come a Ponticelli, a Soccavo, a Poggioreale e  al De Gasperi e sono in stallo gli interventi per le Vele (ne parlava giorni fa su questo giornale, nelle lettere al direttore, Antonio Lavaggi).
Non sto parlando di progetti sulla carta, ma d’interventi finanziati per alcuni dei quali ci sono cantieri aperti e fermi ed è possibile che i finanziamenti non impiegati rischino di andare persi.  
La politica potrà trovare anche qualche escamotage per non perderli del tutto quei finanziamenti, ma è la città più disagiata che ne subisce le conseguenze, sprecando quel tempo che servirebbe per migliorare se stessa.
Non credo che questa situazione sia il prodotto del pre-dissesto finanziario che sta attraversando il Comune;  i PRU di cui parlo sono stati  tutti finanziati, anzi qualche gara, pure bandita, è stata annullata.
Ci sono poi iniziative d’immagine che il Comune persegue e per le quali riesce ad ottenere finanziamenti e nelle quali investe soldi propri che ai miei occhi appaiono di pura visibilità mediatica ( Coppa America, Forum delle culture) ; cosi come ci sono anche introiti che il Comune incassa dalla vendita del patrimonio pubblico residenziale che purtroppo non vengono re-investiti nella casa.
Come è noto la questione delle case a buon mercato a Napoli è una questione aperta, una emergenza che dura  fin dall’inizio del Novecento. Mancano case e affitti a prezzi sostenibili in una quantità che è abnorme rispetto alle situazioni abitative degli altri comuni italiani.
Inoltre, a differenza di altre città che costruiscono ancora case sociali, noi possiamo soprattutto, se non solamente, riqualificare l’esistente perché abbiamo già consumato quasi tutto il suolo libero del nostro territorio e non possiamo permetterci nuove urbanizzazioni.
Poche speranze infine abbiamo che i privati, nell’ attuale forte  crisi edilizia,  investano in edilizia sociale senza congrui incentivi pubblici e purtroppo nessun segnale  positivo  ci viene dalla attività di  sostegno delle Fondazioni  Immobiliari per il Social Housing  locale che in città come Parma o  Milano qualche piccolo quartiere a prezzi contenuti pure costruiscono.
Un merito va riconosciuto all’attuale Amministrazione, ed è quello di aver studiato e poi trasformato in proposta di variante urbanistica (non approvata però) un aumento delle residenze a scapito del terziario già previsto. Un’operazione urbanistica per venire incontro al forte fabbisogno di case con aumento della percentuale di  residenze  sociali, senza aumento delle cubature già previste dal prg.
Purtroppo questo studio, di cui si parlava già alcuni anni fa, se sarà trasformato in norma di piano, arriverà in un momento di grave crisi del settore delle costruzioni. Una crisi per troppa edificazione di nuove abitazioni (si calcola che dal 1998 al 2007 si sia costruito in Italia il 30% del patrimonio residenziale esistente) che sommata alla crisi economica che attraversiamo, non potrà stimolare nessun privato a intervenire se non vengono  previsti  adeguati incentivi  pubblici e facilitazioni.
E proprio perché Napoli fa caso a sé nell’emergenza abitativa, un forte impegno a non perdere finanziamenti, a trovarne di nuovi e ad attivare forme concrete e adeguate di partenariato pubblico privato sono le sole azioni politiche indispensabili per rilanciare la trascurata riqualificazione delle periferie


<<Repubblica Napoli >> 19.1.2013

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