domenica 19 agosto 2012

La mancanza sospetta dei concorsi pubblici


DOVREBBE essere una manna per la città e i suoi architetti, soprattutto in un periodo di crisi come questo, avere in programma e finanziate tutte insieme così tante opere pubbliche o a sostegno pubblico come abbiamo oggi a Napoli: restauro centro storico, Mostra d' Oltremare, stadio, metro e stazioni, Bagnoli e altro ancora. Eppure a fronte di tante opere pubbliche non c' è nessun concorso pubblico indetto, come rilevava ieri su queste pagine Pasquale Belfiore. Si procede come se si trattasse d' interventi privati: niente dibattito, niente partecipazione, niente responsabilità pubblica. Tutto rimane dentro le stanze delle istituzioni; al più si fanno annunci pubblicitari dei quali poco o nulla si riesce a comprendere circa la qualità delle scelte e le procedure per realizzarle. L a pratica dei concorsi per opere pubbliche che da un secolo costituisce un formidabile trait d' union tra istituzioni e cittadini, si è purtroppo prosciugata, interrompendo quella salutare diffusione novecentesca che vedeva la realizzazione dei beni pubblici attraverso il confronto delle proposte in competizione. Invece sembra oggi di assistere a un ritorno alle modalità dell' Ottocento quando il Comune trattava con i privati, e i privati proponevano al Comune, la realizzazione di pezzi di città o di edifici particolarmente importanti. Con la collaborazione di valenti ingegneri-architetti, le proposte private diventavano contratti approvati nel chiuso delle stanze comunali e, mentre risolvevano una cronica inefficienza comunale, si appropriavano anche della trasformazione della città con una pratica liberista oltre misura. A carico del liberismo ottocentesco va addebitato lo sviluppo asfittico della città, la mancanza di parchi e d' infrastrutture ma anche una qualità urbana dignitosa come quella realizzata tra l' altro al Rettifilo o al quartiere Santa Brigida. Ma vanno anche ricordati alcuni incidenti come l' urbanizzazione del Vomero, i cui danni ai cittadini ricordano i danni oggi subiti dagli abitanti dell' interrotto quartiere di Santa Giulia, disegnato da Norman Foster, a Milano. La prassi dell' accordo diretto tra impresee Comune si restringe nel Novecento proprio a favore del concorso pubblico, sia per opere importanti sia per i quartieri attivando ampi dibattiti stilistici che diventeranno una palestra di formazione per i giovani architetti italiani di quel periodo. È a questo punto che la figura del progettista, architetto o ingegnere, si libera dell' ipoteca delle imprese e s' impone all' attenzione della città con proposte e progetti tecnicamente e culturalmente aggiornati. Così sono nati i nostri più importanti edifici della città moderna: le Poste, le Finanze, la stazione marittima, la stazione ferroviaria, lo stadio San Paolo, il 2° Policlinico insieme a quartieri come La Loggetta o Secondigliano II settennio. Quasi del tutto accantonata la pratica dei concorsi (esistono eccezioni fortunate), le opere pubbliche vengono oggi costruite o attraverso incarichi diretti o attraverso gare tra imprese con progetti base redatti per lo più da uffici tecnici interni alle istituzioni che non brillano certo per qualità, competenza e aggiornamento. Una distorsione del sistema innescato dalle leggi Merloni impedisce poi di migliorare quelle mediocri proposte comunali riducendo le garea miglioramenti sui materiali e sull' energia. Il centro della premialità diventa ora la dimensione economica piuttosto che quell' architettonica ed estetica. La preferenza data alle gare d' appalto piuttosto che ai concorsi di architettura risponde anche a un' esigenza politica delle amministrazioni: incapacità di scelte di lungo periodo, impellenza data dalle scadenze dei finanziamenti, desiderio di avere mano libera nel cambiare i progetti in corso d' opera piuttosto che avere un progetto dato e fissato vincitore di concorso. Eppure, anche in quei pochi casi di concorsi pubblici espletati, le istituzioni non sono solerti nell' assumersi la responsabilità della trasparenza delle scelte in relazione all' abbandono o ai cambiamenti che i progetti subiscono. Per esempio non è noto perchéa Napoli il progetto per il porto di Euvè è stato abbandonato, perché è stato variato il progetto di Cellini per Bagnoli, perché è stato messo in archivio il progetto per il rione De Gasperi a Ponticelli. Non solo quindi serve più trasparenza tra amministrazione e cittadini nella trasformazione della città, ma nel caso dello spazio pubblico tale trasparenza e partecipazione è indispensabile. Non si può porre mano allo spazio storico della città senza fare concorsi e senza dibattito pubblico. Dare incarichi diretti, approvare progetti pubblici come se fossero privati, non è una pratica che stringe il rapporto tra città e cittadini. Crea sospetto e irresponsabilità e un senso di città privata che non è ciò che si vuole. Mi riferisco alle piazze invase (o abbellite secondo alcuni) dalle stazioni della Metropolitana, alle piazze che lo saranno tra poco (piazza Santa Maria degli Angeli e piazza Nicola Amore), al restauro e ri-uso di importanti monumenti nel centro storico, al restauro e riuso di edifici della Mostra d' Oltremare. Si fa un gran parlare dei beni comuni, di acqua, mare, montagne e paesaggi, come di beni fondativi della società che li usa e li vive, ma anche i beni pubblici, come abbiamo visto, sono fondanti la storia di una comunità e ogni loro trasformazione va attivata e condivisa.
Repubblica NA 25.7.2012

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