C’è un generale degrado
delle periferie delle grandi città nel nostro paese, degrado non
solo fisico, ma come evidente al sud, anche civile, prodotto da quel
mancato intreccio tra istruzione, educazione civica e sviluppo
economico.
Di questo degrado alcune
città italiane, compresa la capitale, sono lucente specchio , ma i
Governi degli ultimi trent’anni hanno ignorato la questione della
riqualificazione urbana che, dal 2008, si è sommata ad una
emergenza abitativa per fasce piccolo-medio borghesi senza
precedenti.
La richiesta di alloggi
sociali e di alloggi con affitti sostenibili si è fatta molto ampia
e purtroppo totalmente insoddisfatta. A tale crisi urbana si sta
aggiungendo un nuovo tassello, la richiesta di alloggi da parte di
decine di migliaia di migranti-profughi che saranno regolarizzati.
Come spesso ci capita saremo completamente impreparati a questi
prevedibili accadimenti e le conseguenze negative si avranno in
primis sulla vivibilità delle periferie. Alcune capitali europee
hanno strategie efficaci per non collassare; la città Berlino, per
esempio, l’anno scorso ha finanziato un programma di 28.000 alloggi
sociali, il cui numero è quasi pari a tutti gli alloggi pubblici
programmati ma non realizzati in Italia dal 2006.
Anche in Italia esistono
però differenziazioni, alcune città, più sensibili al problema,
stanno cercando di porre qualche rimedio: Torino e Milano, in primis,
hanno in corso iniziative concrete e ampie. Niente a che vedere
con Napoli dove un pur misero piano di realizzazione di alloggi
sociali a Ponticelli e Soccavo, ereditato dalla giunta Jervolino, è
stato soppresso dall’attuale amministrazione.
Attualmente il Governo,
forte del notevole successo fiscale ed economico avuto, intende
prorogare il Bonus casa, il bonus che riguarda la ristrutturazioni
degli alloggi, il miglioramento energetico e gli arredi. Sembra
anche che, oltre alla proroga, il Bonus venga ampliato ai possessori
di case popolari e agli arredi di case in fitto da giovani coppie.
Sono ampliamenti
decisamente positivi perché includere tutti quelli che hanno
riscattato le case degli Enti, e i recenti acquirenti delle case
popolari che abitavano (sono 180.000 alloggi), consente benefici a
larghi strati di popolazione e ai giovani, dando un po’ di fiducia
nel futuro.
Ma oltre il successo
fiscale, la politica della casa non riesce però ad andare.
Come è noto lo Stato e
per esso le Regioni, per motivi diversi l’uno dall’altra, hanno
smesso da trent’anni di costruire case popolari o sociali come le
chiamano oggi. I finanziamenti previsti dai piani casa del 2009 e del
2014 non hanno ancora dato risultati concreti a causa anche della
complicata burocrazia regionale. La coppia Stato-Regioni non riesce
nemmeno a costruire o a ristrutturare in tempo le case finanziate e
il divario tra le necessità sociali e la politica si allunga
aggravando l’emergenza nelle periferie.
In più la periferia
soffre di una pessima realizzazione la cui responsabilità storica
ricade sia sulle leggi permissive dei governi passati sia sui
comportamenti urbanisticamente irresponsabili delle amministrazioni
comunali. Oltre quindi agli alloggi degradati e dispendiosi
energeticamente, la periferia ha necessità di una riqualificazione
urbana mai iniziata. Il punto di vista del governo, di guardare solo
o prioritariamente agli alloggi, fa dimenticare gli edifici e i
quartieri, fa dimenticare cioè i luoghi comuni o pubblici, dove si
vive: strade, verde, spazi liberi, trasporti e servizi sociali.
Non si vede ancora un
cambio di passo nella trentennale politica di immobilismo della
politica della casa. L’unica novità di rilievo è data dai fondi
per il Social Housing, fondi privati istituzionali, che si stanno
espandendo solo al nord e stanno realizzando interessanti opere
sociali, dalle case per studenti agli alloggi per giovani coppie a
fitti calmierati.
Sono progetti dove
concorrono privato e pubblico, dove il tempo tra progettazione e
realizzazione è ancora troppo lungo, circa cinque anni, ma dove una
lungimirante politica di ampliamento dei fondi e delle procedure
potrebbe supplire ad un ritardo paralizzante, stimolando anche al sud
la diffusione di questo nuovo strumento sociale.
(Repubblica Na settembre 2015)
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