giovedì 12 maggio 2011

Abbattere le Vele e poi ?


E LE periferie? Non sono nell' agenda dei quattro candidati a sindaco e non compaiono tra le cose importanti e urgenti da fare per Napoli. I temi urgenti secondo Morcone, de Magistris, Lettieri e Pasquino, emersi nell' incontro avuto a "Repubblica", sono: centro storico, rifiuti e termovalorizzatore, Bagnoli; le periferie sono considerate meno urgenti. Solo l' abbattimento delle quattro Vele superstiti è da tutti e quattro considerato indispensabile. Sembra in effetti il de profundis per questi ingombranti relitti o land mark - secondo le opinioni - dell' edilizia pubblica degli anni Settanta. Certo la convergenza di tutti i candidati sull' abbattimento fa riflettere così come, del pari, la mancanza di ogni proposta sul dopo abbattimento. C' è una specie di gara intorno alle Vele: tanto più aumenta l' interesse nazionale per questi giganti edilizi e cresce una riflessione culturale che infoltisce il gruppo dei sostenitori della conservazione e riuso (si è formato un autorevole comitato "Salviamo le Vele" sostenuto dal sovrintendente Stefano Gizzi insieme con altri eccellenti architetti non solo napoletani) tanto si radica il giudizio negativo popolare e soprattutto politico, che non accetta ripensamenti. Da una parte, eliminando le Vele sembra si voglia cancellare un' intera stagione negativa dell' edilizia pubblica, quella degli anni Settanta, da molti ritenuta un prodotto sbagliato della cultura di sinistra italiana. Dall' altra, si sostiene che le Vele, al pari di altri interventi coevi, vanno conservate e recuperate come memoria di una stagione dell' architettura italiana, generosa e immaginifica, che voleva disegnare con quelle "urbatetture", come le chiamò Bruno Zevi, una città diversa.A Roma il sindaco Alemanno ha recentemente proposto la demolizione del quartiere di Tor Bella Monaca facendo proprio un progetto di Leon Krier che propone al suo posto una specie di città giardino grande più del doppio dell' attuale quartiere. Stessi dilemmi sorgono anche per lo Zen di Palermo, il Corviale e il Laurentino a Roma, tutti accomunati dalla stessa ideologia della grande dimensione che è stata una grande scommessa purtroppo persa: sul piano del quartiere infatti questa tendenza macrostrutturale ha prodotto solo peggioramenti di vita. Naturalmente l' attuale concordia demolitoria a Napoli sembra avere più carattere politico propagandistico che operativo, visto che non ci sono finanziamenti per riqualificare i quartieri di periferia che invece andrebbero considerati la più importante questione urbana sul tappeto, insieme alla salvaguardia del paesaggio, di tutto il nostro paese. Ciò che appare importante conoscere è cosa si vuole fare dopo gli abbattimenti o dopo le demolizioni non solo delle Vele ma anche, per esempio, di quartieri come Taverna del Ferro a San Giovanni che sono afflitti da problemi simili. A Roma, per esempio, la proposta di realizzare una città-giardino al posto di Tor Bella Monaca ha fatto sorridere molto pubblico nei diversi convegni indetti: ma come, si sono chiesti in molti, torniamo alla Garbatella e ci giochiamo tutta questa campagna vergine ancora non cementificata? A Napoli invece non ci sono proposte così chiare sul dopo e nemmeno sul prima. Da sedici anni per esempio i pochi progetti di recupero della periferia messi in campo e finanziati non sono stati realizzati a dimostrazione che qualcosa di storto si è verificato sia nelle previsioni di Prg sia nella capacità operativa del Comune. E sarebbe utile se oggi la politica, in procinto di guidare il Comune, s' interrogasse su che cosa è andato storto e proponesse contro misure e cambiamenti. Le Vele hanno attualmente una condizione diversa dagli altri quartieri citati. Esse sono quasi disabitate. I "velisti" hanno già avuto un alloggio dove andare (pare ne manchino ancora una cinquantina), e hanno lasciato di buon grado quelle case dove malvolentieri erano stati messi e che avevano da subito vandalizzato. Progettate alla maniera degli ordinari edifici 167 costruiti a Scampia, le nuove case pubbliche hanno inconI trato apprezzamento: insomma sono più vicine ai desideri che fin dall' inizio quegli inquilini dovevano avere. Non essendoci quindi un' urgenza sociale ma solo un' urgenza di decisioni, la politica e la cultura avrebbero tutto il tempo per approfondire l' utilità degli abbattimenti totali o parziali e/o la possibilità del loro riutilizzo. Si tratta di circa 780 appartamenti suddivisi in quattro edifici. Servirebbe allora un programma di riqualificazione, per lo meno dei lotti L e M, un programma per la creazione di un quartiere mai nato, nel quale le Vele potrebbero giocare un ruolo diverso da quello residenziale: abbattute parzialmente e/o usate come terziario e laboratori, o come studentato, o infine magari vendute ai privati. Insomma potremmo essere più coraggiosi e pensare a un futuro di Secondigliano che, nato nel 1964 con un piano-non piano, libero e senza forma, ispirato da Giulio De Luca, è rimasto senza validi collegamenti con la città (salvo la recente fermata della linea 1), pieno di case popolari e con grandi strade intorno a un chimerico centro direzionale (oggi poco utilizzabile parco urbano). Certo non possiamo aspettare che a decidere sia il tempo con lo sbriciolamento delle strutture abbandonate e il ritorno alla terra di quei giganti, perché il tempo che produce rovine è finito: solo l' architettura antica infatti produce splendidi ruderi, mentre quella attuale si distrugge solamente e non lascia tracce. Ma se demolire costa e ai materiali demoliti bisogna anche dare un uso intelligente, la riqualificazione costa ancora di più, e ancora di più che fare case nuove. Ciò che non si può fare invece è recuperare, perché quelle case sono irrecuperabili. L' originale progetto di Francesco Di Salvo, infatti, non è recuperabile: esso non fu mai costruito; al suo posto l' impresa e i suoi tecnici costruirono un deforme simulacro che aggravò alcuni difetti già presenti in parte nel progetto e nelle norme Gescal, introdusse la prefabbricazione totale, la trasformazione strutturale delle strade pensili, la variazione del numero e del taglio degli alloggi previsti, la esiziale riduzione dello spazio interno; quello spazio da carcere piranesiano da dove gli abitanti sono fuggiti. Esiste un approfondito studio sulla riconversione parziale delle Vele prodotto dalla Facoltà di Architettura (condotto dal professor Antonio Lavaggi), mai utilizzato dal Comune e dal quale si potrebbe invece ripartire per sfidare con l' architettura un esperimento finito male. Qualunque soluzione si voglia praticare per le Vele così come per la sterminata periferia, serve un impegno credibile della politica su ciò che si può fare per riqualificare non tanto e non solo gli edifici ma soprattutto i luoghi dove vive la gente. © RIPRODUZIONE RISERVATA
- SERGIO STENTI             10 maggio 2011    Repubblica   Napoli

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