venerdì 24 dicembre 2010

10 milioni per un'opera d'arte , 100 milioni per una stazione



Quando si inaugurerà la stazione del Metrò Università, non sarà attivo ciò che immaginiamo, il collegamento diretto Piscinola –Rettifilo. Sotto la pancia del gigantesco cavallo del re Vittorio Emanuele II, padre della patria, appena posto al centro di piazza Borsa, non scorreranno i convogli della metropolitana ma solo una navetta con partenza  da piazza Dante e con nessuna fermata intermedia.
Scavare con la Talpa in zona archeologica costa enormemente in termini di soldi, di ritardi sui tempi, di riprogettazione delle stazioni e di sorprese non sempre positive. Comporta anche grandi occasioni di studio, di recupero di reperti antichi sepolti, di sperimentazioni architettoniche e di riqualificazione urbana nei dintorni. Le stazioni ipogee a Napoli sono state anche un’occasione di produzione di arte pubblica che nelle intenzioni di Mendini e Bonito Oliva sono servite e servono a costruire un museo sotterraneo di arte contemporanea. Un eccezionale successo di critica e di pubblico ha accompagnato le 14 stazioni costruite della linea 1 ( costo medio € 60 mln/stazione e 65 mln/Km) in parte oggi compromesso da una perdita di misura che sembra caratterizzare le nuove stazioni in costruzione.
Da un trinomio arte+architettura+design che ha segnato le stazioni dell’arte, si sta passando ad un binomio arte+design mettendo fuori gioco l’architettura  e le sue ragioni pratiche.
Alcune nuove stazioni tendono, infatti, a diventare esse stesse opere d’arte, superando il confine tradizionale tra architettura come costruzione con scopi sociali e arte come libero esercizio di sensibilità, legata solo alla biografia dell’artista.
Tale slittamento non solo pone questioni intorno al significato dell’attività artistica, sulla quale da sempre si interroga chi progetta , ma  pone anche  problemi di  responsabilità  di chi decide, di quale rapporto col pubblico ricercare , di quale coinvolgimento praticare,  dato che parliamo di opere finanziate con soldi pubblici e non  fatte per “ il piacere del principe”.
La questione del significato del progetto artistico ha una sua importanza perché è sotto gli occhi di tutti lo slittamento che sta avvenendo nelle opere pubbliche: da proposta razionale e sociale condivisa a simulacro, a oggetto urbano dotato di forte immagine emozionale, a landmark.  La strada per la notorietà e il successo dei progettisti passa per l’accondiscendenza al mercato e alle sue regole di marketing.
Tale nuova focalizzazione fa perdere  di vista il contesto dei progetti, il ruolo  dei luoghi nei quali si costruisce, i quali   non vengono più  percepiti come importanti  dai progettisti; si attua cioè uno spaesamento contro i luoghi, un tradimento che serve a  liberare il progetto dalle regole tradizionali del rispetto del contesto. Un atteggiamento artistico che insegue soprattutto l’immagine emozionale, il gigantesco, il ridondante. Era il 2003 quando l’artista Anish Kapoor progettava come “architetto” la stazione di periferia di Montesantangelo aiutato dallo studio Future system nel primo progetto postmoderno della città.
La piccola stazione di Montesantangelo è, a sentire Massimiliano Fuxas la più sexy stazione che si conosca. Un’opera d’arte integrale, un sesso d’acciaio corten. Una scultura a dimensione gigante, un Landmark urbano.
Gli autori e la committenza hanno ancora qualche reticenza a giustificarla come opera d’arte pura; scrivono che l’opera riqualificherà culturalmente il rione Traiano; ma sappiamo che non è cosi, che al rione certo l’arte non fa male ma soprattutto esso  ha bisogno di  commercio, servizi e parchi.  
Conoscere il costo delle stazioni della Metropolitana non è cosa agevole, quando si parla di cifre si trovano solo importi generali non dettagliati; ai costi concorrono molte variabili, la scelta del tipo , metropolitana leggera o pesante, ma soprattutto la presenza di strati archeologici. 
Ma seppure con una certa approssimazione il costo stimato della stazione di periferia di Montesantangelo  (un costo medio per una stazione di periferia , a Torino come a Napoli,  è di circa 35 mln di euro)  è circa  100 milioni di euro, di cui oltre 10 milioni solo per le  due opere d’arte. E’ come se invece di costruire al Traiano un discreto Auditorium ( penso a quello di Ravello ) si fosse scelto di realizzare una scultura gigante per stimolare la cultura degli abitanti.
Qui si mostra ciò che si diceva a proposito delle responsabilità delle scelte pubbliche per l’arte.
La stima del costo previsto da parte di Achille Bonito Oliva fu ritenuta oltremodo vantaggiosa per l’amministrazione pubblica e congruente.  Senza metter in dubbio valutazioni artistiche è difficile accettare congruenze di costi per una merce che non si può vendere e che è soprattutto forma e immagine seppure di acciaio. Ma forse, alle strette, potremmo sempre venderla, sezionandola, a qualche museo o Emirato arabo o città americana.
Per lo stesso costo medio stiamo costruendo cinque stazioni nel centro storico, Toledo, Università, Municipio e Garibaldi che saranno pronte  fra un paio di anni. Ma lì almeno le questioni archeologiche e la continua riprogettazione  sembrano giustificarne  l’alto costo.
Discorso a parte si deve fare per la futura stazione di piazza Garibaldi che affronta con forza la riqualificazione dell’incompleta piazza. La scelta però di costruire un centro commerciale interrato, coperto da una gigantesca pensilina in vetro che occupa circa mezza piazza pone notevoli interrogativi circa la necessità di occupare altro spazio urbano per privatizzarlo a uso commerciale, a fianco di un altro centro commerciale ricavato nella stazione della Ferrovia.


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