mercoledì 15 giugno 2016

Piano casa e periferie, Napoli si è fermata

Può accadere che una coincidenza riesca a cambiare  una realtà. Molti ci credono perché il caso gioca a nascondino con noi e bisogna avvertirne l’approssimarsi proprio interpretando le coincidenze. Il nostro premier è un politico veloce e tempista, e alla Biennale di Architettura di Venezia che si occupa quest’anno di periferie nel mondo, ha annunciato il suo programma per le nostre periferie: sembrerebbe una sintonia perfetta tra politica e architettura sociale!
Ma anche se si trattasse di  pura coincidenza,  si percepisce che qualcosa si  sta muovendo: si sta avvicinando il tempo della riqualificazione delle periferie italiane . Forse al Governo devono aver avvertito i richiami della Biennale di Architettura e soprattutto del Padiglione Italia, i cui curatori hanno chiamato “Take care”: come per dire a un amico, mi raccomando prenditi cura di te. Prendiamoci cura cioè delle periferie abbandonate dicono,  e mostrano alcuni  positivi e incoraggianti esempi.
Non abbiamo molto da esibire in verità, i piani casa  governativi ,  a partire   dal 2009 ,  sono avari di risultati e solo il Social Housing è stata l'unica vera piccola novità in questo campo.
Com’è noto lo Stato e  le Regioni, per motivi diversi l’uno dall’altro, hanno smesso da trent’anni di costruire case popolari o sociali come si chiamano oggi. I finanziamenti previsti dai piani casa del 2009, 2011 e del 2014 non hanno  ancora dato risultati concreti a causa anche della complicata burocrazia regionale. La coppia Stato-Regioni funziona malissimo e sembra solo un inutile aggravamento burocratico che richiederebbe un intervento di profonda ristrutturazione politico-amministrativa.
Forse per questo l’attuale Piano Casa, versione 2016, ha preso una direzione diversa: un intervento finanziario sul già costruito più che un programma di costruzione di case nuove. Eppure il tema italiano non è solo quello delle case, di cui c’è urgente bisogno (600.000 mila domande giacciono inevase), ma il tema riguarda una seria riqualificazione degli spazi pubblici in periferia.
Il Piano Casa 2016 ha degli innegabili meriti: innanzitutto vuole porre fine all’occupazione delle case pubbliche da parte di chi non ne ha diritto; un’illegalità tollerata da molto tempo dagli Enti gestori e al Sud quasi endemica. Prevede inoltre di riqualificare case pubbliche non messe sul mercato perché degradate, e soprattutto propone di acquistare dai privati case già costruite e darle in fitto o a riscatto . E’ noto infatti che le banche sono diventate proprietarie di molti alloggi invenduti che le numerose imprese edili fallite (circa il 30% dal 2008)  hanno  dovuto loro  trasferire. Cosi, in quattro anni,  dal 2016 al 2019, il Governo spera di raggiungere la cifra di 75.000 alloggi pubblici messi sul mercato senza occupare nuovo suolo.
Ci auguriamo il più ampio successo possibile per questo nuovo Piano Casa, cosi diverso dai precedenti . Eppure qualche riflessione sulla necessità di un cambiamento politico amministrativo nel funzionamento del ciclo della casa sociale e della riqualificazione andrebbe fatta perché ogni nuovo piano casa riutilizza , parte o tutti, i  finanziamenti non spesi dei precedenti piani casa che evidentemente hanno funzionato male. Andrebbe anche ripensato e approfondito il ruolo del Social Housing privato che sembra funzionare benissimo solo al Nord mentre, da Firenze in giù, per motivi tutti da scoprire, non riesce a intercettare il favore di banche, associazioni e comuni.
Infine andrebbe stimolata, con opportuni incentivi , la partecipazione degli abitanti alla riqualificazione: non può esserci infatti modificazione della periferia, delle case e degli spazi, senza la partecipazione attiva di chi ci vive, attuando cioè solo interventi dall’alto; la riqualificazione urbana  infatti si  può ottenere solo con l’intreccio di interventi fisici e sociali.
La storia della non partecipazione popolare agli interventi pubblici sulla casa a Napoli è molto lunga.  Basterebbe citare i generosi interventi del post terremoto del 1980 che non hanno avuto un convinto sostegno popolare.  Erano tempi d’emergenza quelli, dove si tolleravano l’occupazione abusiva e quella di necessità; ma oggi quella politica  sembra finita.
Dopo il post terremoto, durato vent’anni, a Napoli sono stati eliminati anche quei pochi interventi pubblico-privati previsti dalla giunta Iervolino. La giunta De Magistris ha infatti azzerato gli interventi  di recupero urbano previsti e  finanziati  a Ponticelli, Soccavo e Poggioreale.  In questo campo, negli ultimi cinque anni, Napoli ha offerto alla sua popolazione solo programmi vecchi che sono maturati: 50 nuove case a Secondigliano e 170 alloggi  a Ponticelli.  Non una nuova casa è stata realizzata da quest’amministrazione e soprattutto nessuna iniziativa concreta è stata messa in essere.

Forse è iniziato un nuovo periodo nazionale per le periferie abbandonate, una nuova sensibilità si sta  sviluppando contro l’autoreferenzialità delle archistars dirigendosi verso un’architettura sociale oggi più che mai indispensabile per conservare quelle 
specifiche qualità urbane prodotte dalla nostra storia.

(Repubblica NA, 29.5.2016)