Può accadere che una
coincidenza riesca a cambiare una
realtà. Molti ci credono perché il caso gioca a nascondino con noi e bisogna
avvertirne l’approssimarsi proprio interpretando le coincidenze. Il nostro
premier è un politico veloce e tempista, e alla Biennale di Architettura di
Venezia che si occupa quest’anno di periferie nel mondo, ha annunciato il suo
programma per le nostre periferie: sembrerebbe una sintonia perfetta tra
politica e architettura sociale!
Ma anche se si trattasse di pura coincidenza, si percepisce che qualcosa si sta muovendo: si sta avvicinando il tempo
della riqualificazione delle periferie italiane . Forse al Governo devono aver
avvertito i richiami della Biennale di Architettura e soprattutto del Padiglione
Italia, i cui curatori hanno chiamato “Take care”: come per dire a un amico, mi
raccomando prenditi cura di te. Prendiamoci cura cioè delle periferie abbandonate
dicono, e mostrano alcuni positivi e incoraggianti esempi.
Non abbiamo molto da esibire
in verità, i piani casa governativi
, a partire dal 2009 , sono avari di risultati e solo il Social
Housing è stata l'unica vera piccola novità in questo campo.
Com’è noto lo Stato e le Regioni, per motivi diversi l’uno
dall’altro, hanno smesso da trent’anni di costruire case popolari o sociali
come si chiamano oggi. I finanziamenti previsti dai piani casa del 2009, 2011 e
del 2014 non hanno ancora dato risultati
concreti a causa anche della complicata burocrazia regionale. La coppia
Stato-Regioni funziona malissimo e sembra solo un inutile aggravamento
burocratico che richiederebbe un intervento di profonda ristrutturazione
politico-amministrativa.
Forse per questo l’attuale
Piano Casa, versione 2016, ha preso una direzione diversa: un intervento
finanziario sul già costruito più che un programma di costruzione di case
nuove. Eppure il tema italiano non è solo quello delle case, di cui c’è urgente
bisogno (600.000 mila domande giacciono inevase), ma il tema riguarda una seria
riqualificazione degli spazi pubblici in periferia.
Il Piano Casa 2016 ha degli
innegabili meriti: innanzitutto vuole porre fine all’occupazione delle case
pubbliche da parte di chi non ne ha diritto; un’illegalità tollerata da molto
tempo dagli Enti gestori e al Sud quasi endemica. Prevede inoltre di
riqualificare case pubbliche non messe sul mercato perché degradate, e
soprattutto propone di acquistare dai privati case già costruite e darle in
fitto o a riscatto . E’ noto infatti che le banche sono diventate proprietarie
di molti alloggi invenduti che le numerose imprese edili fallite (circa il 30%
dal 2008) hanno dovuto loro trasferire. Cosi, in quattro anni, dal 2016 al 2019, il Governo spera di
raggiungere la cifra di 75.000 alloggi pubblici messi sul mercato senza
occupare nuovo suolo.
Ci auguriamo il più ampio
successo possibile per questo nuovo Piano Casa, cosi diverso dai precedenti .
Eppure qualche riflessione sulla necessità di un cambiamento politico
amministrativo nel funzionamento del ciclo della casa sociale e della riqualificazione
andrebbe fatta perché ogni nuovo piano casa riutilizza , parte o tutti, i finanziamenti non spesi dei precedenti piani
casa che evidentemente hanno funzionato male. Andrebbe anche ripensato e
approfondito il ruolo del Social Housing privato che sembra funzionare benissimo
solo al Nord mentre, da Firenze in giù, per motivi tutti da scoprire, non
riesce a intercettare il favore di banche, associazioni e comuni.
Infine andrebbe stimolata,
con opportuni incentivi , la partecipazione degli abitanti alla
riqualificazione: non può esserci infatti modificazione della periferia, delle
case e degli spazi, senza la partecipazione attiva di chi ci vive, attuando
cioè solo interventi dall’alto; la riqualificazione urbana infatti si può ottenere solo con l’intreccio di interventi
fisici e sociali.
La storia della non
partecipazione popolare agli interventi pubblici sulla casa a Napoli è molto
lunga. Basterebbe citare i generosi
interventi del post terremoto del 1980 che non hanno avuto un convinto sostegno
popolare. Erano tempi d’emergenza
quelli, dove si tolleravano l’occupazione abusiva e quella di necessità; ma
oggi quella politica sembra finita.
Dopo il post terremoto,
durato vent’anni, a Napoli sono stati eliminati anche quei pochi interventi
pubblico-privati previsti dalla giunta Iervolino. La giunta De Magistris ha
infatti azzerato gli interventi di
recupero urbano previsti e finanziati
a Ponticelli, Soccavo e Poggioreale.
In questo campo, negli ultimi cinque anni, Napoli ha offerto alla sua popolazione
solo programmi vecchi che sono maturati: 50 nuove case a Secondigliano e 170
alloggi a Ponticelli. Non una nuova casa è stata realizzata da
quest’amministrazione e soprattutto nessuna iniziativa concreta è stata messa
in essere.
Forse è iniziato un nuovo
periodo nazionale per le periferie abbandonate, una nuova sensibilità si
sta sviluppando contro
l’autoreferenzialità delle archistars dirigendosi
verso un’architettura sociale oggi più che mai indispensabile per conservare quelle
specifiche qualità urbane prodotte dalla nostra storia.
(Repubblica NA, 29.5.2016)