domenica 2 novembre 2014

L'esempio di Matera

C’è da ammirare e comprendere l’inaspettato successo di Matera quale capitale designata della cultura europea per il 2019. Un riconoscimento  di merito, per nulla politico o burocratico.
In circa settant’anni, dal 1945, questa cittadina del sud ha riscattato il giudizio che allora, appena finita la guerra, veniva dato da Togliatti e poi  da De Gasperi, di  una vergogna nazionale da cancellare al più presto.  Matera ha riscattato quell’onta. Non nel campo dello sviluppo economico agricolo, cosa impossibile senza una riforma che non è mai avvenuta; ma nel campo del terziario  prima e poi soprattutto in quello della cultura e del turismo.
I Sassi, infatti, da pietra dello scandalo nazionale, per miseria, arretratezza culturale e mancanza d’igiene, stanno diventando il cuore arcaico di quella città, rivitalizzati con prudenti recuperi e rinvigoriti da nuove funzioni pubbliche, da associazioni  private, residenze e ristoranti.
Una trasformazione impensabile allora quando vi abitava una comunità di contadini e braccianti insediatasi nelle rocce scavate delle gravine, lontano dai campi coltivati. Erano 15.000 persone ammassate con animali e cose. A guardarla oggi si deve riconoscere che è stata una vera fortuna per Matera che la modernità e il fascismo avevano dimenticato quei luoghi.  E certo nel dopoguerra non c’erano occhi per vedere quello che allora non serviva: conservare tracce di antiche culture e valorizzarle. L’ansia di normalità e dignità civile era incontenibile dopo la guerra. 
Decine di città distrutte, centri storici importantissimi pieni di macerie, la ricostruzione aveva ben altro di cui occuparsi, eppure i Sassi assunsero lo status simbolico di una sfida democratica. Fu un’epopea nazionale che il paese liberato intraprese per ridare dignità al sud.  
Fare nuove case e spostare una comunità fu un compito arduo ma fu fatto; non fu completata invece l’altra parte della dignità, quella del lavoro dei contadini poveri.  Le terre ai contadini non erano previste dal programma democristiano, e questa mancanza limitò molto il successo sia dell’iniziativa politica sia della vita civile degli abitanti spostati.Lo si può capire bene oggi se si ha l’occasione  di visitare quei quartieri e soprattutto quei borghi ormai spaesati, in un contesto non più agricolo ma  fatto di alberghi, supermercati e residenze a schiera con giardino,  chiuse da recinti.  
Tra gli intellettuali italiani che si mobilitarono  l’imprenditore Adriano Olivetti presidente dell’INU raccolse la sfida  e si attivò  costituendo gruppi di studio  multidisciplinari e poi,  attraverso una organizzazione delle Nazioni Unite , l’UNRRA-CASAS, contribuire a  costruire le case.  Si mobilitarono in tanti intorno a lui, scrittori sociologi e architetti che realizzarono il primo tentativo di architettura partecipata in Italia.
Si costruirono borghi agricoli fuori città e quartieri in aree periferiche. Quaroni, Piccinato, Aymonino, Fiorentino e altri, realizzarono case moderne sia per i contadini sia per quelli che non lo erano.
I Sassi fortunatamente non furono toccati, il piano di Piccinato del 1953 li aveva graziati, risparmiandoli da frettolose riqualificazioni. Tutto il nuovo veniva cosi costruito “accanto” o lontano e non sopra la cittadina esistente.
Fu una scelta lungimirante, migliorata anche dal fatto che chi lasciava le case rupestri e prendeva un alloggio popolare doveva cedere la sua proprietà al Comune. I Sassi diventarono cosi, per molta parte, un bene comune. Ma per vent’anni nessuno si fece carico  di immaginare la  loro rigenerazione. Solo con il Concorso d’idee per il recupero dei Sassi del 1975, cambiò il punto di vista dei materani: da vergogna a risorsa da utilizzare.    
Merito anche dell’architetto Tommaso Giura Longo, il recupero dei Sassi, divenne cosi nel corso dei successivi vent’anni da esigenza culturale locale a riconoscimento nazionale e poi internazionale (Unesco) che spianò la strada ai desiderati finanziamenti pubblici.
Evitato ogni grande intervento di trasformazione, il Comune ha attuato una strategia di piccoli interventi, sentieri, scalinate, slarghi, qualche edificio, che ha prodotto riconoscimenti e apprezzamenti in Europa.
La nuova stagione di Matera che si apre con questo riconoscimento culturale è debitrice anche verso le scelte fatte nel dopoguerra; sia verso lo sforzo etico e politico nazionale di modernizzare una realtà arretrata, sia verso l’urbanistica moderna che , con attenzione al sociale, ne  ha disegnato i  nuovi quartieri.

La Martella, Borgo Venusio, Spine Bianche e Serra Venerdi sono solo alcuni di questi interventi che pur non essendo diventati monumenti sono importantissimi documenti della storia recente del nostro paese.  

Repubblica- Na   31.10.2014