C’è da ammirare e comprendere l’inaspettato successo
di Matera quale capitale designata della cultura europea per il 2019. Un
riconoscimento di merito, per nulla
politico o burocratico.
In circa settant’anni, dal 1945, questa cittadina del
sud ha riscattato il giudizio che allora, appena finita la guerra, veniva dato
da Togliatti e poi da De Gasperi,
di una vergogna nazionale da cancellare
al più presto. Matera ha riscattato quell’onta.
Non nel campo dello sviluppo economico agricolo, cosa impossibile senza una
riforma che non è mai avvenuta; ma nel campo del terziario prima e poi soprattutto in quello della
cultura e del turismo.
I Sassi, infatti, da pietra dello scandalo nazionale,
per miseria, arretratezza culturale e mancanza d’igiene, stanno diventando il
cuore arcaico di quella città, rivitalizzati con prudenti recuperi e rinvigoriti
da nuove funzioni pubbliche, da associazioni private, residenze e ristoranti.
Una trasformazione impensabile allora quando vi abitava
una comunità di contadini e braccianti insediatasi nelle rocce scavate delle
gravine, lontano dai campi coltivati. Erano 15.000 persone ammassate con animali
e cose. A guardarla oggi si deve riconoscere che è stata una vera fortuna per
Matera che la modernità e il fascismo avevano dimenticato quei luoghi. E certo nel dopoguerra non c’erano occhi per
vedere quello che allora non serviva: conservare tracce di antiche culture e
valorizzarle. L’ansia di normalità e dignità civile era incontenibile dopo la
guerra.
Decine di città distrutte, centri storici importantissimi
pieni di macerie, la ricostruzione aveva ben altro di cui occuparsi, eppure i
Sassi assunsero lo status simbolico di una sfida democratica. Fu un’epopea
nazionale che il paese liberato intraprese per ridare dignità al sud.
Fare nuove case e spostare una comunità fu un compito
arduo ma fu fatto; non fu completata invece l’altra parte della dignità, quella
del lavoro dei contadini poveri. Le
terre ai contadini non erano previste dal programma democristiano, e questa
mancanza limitò molto il successo sia dell’iniziativa politica sia della vita
civile degli abitanti spostati.Lo si può capire bene oggi se si ha l’occasione di visitare quei quartieri e soprattutto quei
borghi ormai spaesati, in un contesto non più agricolo ma fatto di alberghi, supermercati e residenze a
schiera con giardino, chiuse da recinti.
Tra gli intellettuali italiani che si
mobilitarono l’imprenditore Adriano
Olivetti presidente dell’INU raccolse la sfida
e si attivò costituendo gruppi di
studio multidisciplinari e poi, attraverso una organizzazione delle Nazioni
Unite , l’UNRRA-CASAS, contribuire a costruire le case. Si mobilitarono in tanti intorno a lui,
scrittori sociologi e architetti che realizzarono il primo tentativo di
architettura partecipata in Italia.
Si costruirono borghi agricoli fuori città e quartieri
in aree periferiche. Quaroni, Piccinato, Aymonino, Fiorentino e altri, realizzarono
case moderne sia per i contadini sia per quelli che non lo erano.
I Sassi fortunatamente non furono toccati, il piano di
Piccinato del 1953 li aveva graziati, risparmiandoli da frettolose
riqualificazioni. Tutto il nuovo veniva cosi costruito “accanto” o lontano e non
sopra la cittadina esistente.
Fu una scelta lungimirante, migliorata anche dal fatto
che chi lasciava le case rupestri e prendeva un alloggio popolare doveva cedere
la sua proprietà al Comune. I Sassi diventarono cosi, per molta parte, un bene
comune. Ma per vent’anni nessuno si fece carico di immaginare la loro rigenerazione. Solo con il Concorso d’idee
per il recupero dei Sassi del 1975, cambiò il punto di vista dei materani: da
vergogna a risorsa da utilizzare.
Merito anche dell’architetto Tommaso Giura Longo, il recupero
dei Sassi, divenne cosi nel corso dei successivi vent’anni da esigenza culturale
locale a riconoscimento nazionale e poi internazionale (Unesco) che spianò la
strada ai desiderati finanziamenti pubblici.
Evitato ogni grande intervento di trasformazione, il
Comune ha attuato una strategia di piccoli interventi, sentieri, scalinate,
slarghi, qualche edificio, che ha prodotto riconoscimenti e apprezzamenti in
Europa.
La nuova stagione di Matera che si apre con questo
riconoscimento culturale è debitrice anche verso le scelte fatte nel
dopoguerra; sia verso lo sforzo etico e politico nazionale di modernizzare una
realtà arretrata, sia verso l’urbanistica moderna che , con attenzione al
sociale, ne ha disegnato i nuovi quartieri.
La Martella, Borgo Venusio, Spine Bianche e Serra
Venerdi sono solo alcuni di questi interventi che pur non essendo diventati
monumenti sono importantissimi documenti della storia recente del nostro
paese.
Repubblica- Na 31.10.2014