giovedì 26 giugno 2014

Dove è finito il sogno della modernità

a proposito del  tema di attualità dato alla prova di Maturità  stralciando  un brano sulle periferie da un articolo di Renzo Piano  

Quest’anno, come tema d’attualità agli esami di Maturità è stata data  una riflessione sulle nostre periferie stralciata  da un recente articolo di Renzo Piano.
Che sia un argomento d’attualità non c’è dubbio, che sia stato anche argomento di discussione in classe  ho qualche dubbio, per cui credo, che pochi lo avranno scelto anche se a Napoli qualche suggestione  in più  sul tema  può averlo  dato la recentissima fiction  Gomorra, per cui spero che il tema, da noi, lo abbiano scelto in molti.
Oltre gli scempi della terra dei fuochi e gli orrori di Gomorra, una riflessione sui luoghi dove si abita, e la maggioranza dei cittadini abita in periferia,  è indispensabile per mettere a fuoco le proprie radici e il proprio rapporto con  l’habitat e la cultura urbana .
Si fa sempre un gran parlare sui fallimenti della periferia, sullo sconvolgimento del paesaggio italiano, sull’emergenza abitativa, sullo spreco di suolo già fatto; ma tali argomenti non riescono ad uscire dall’ambito delle critiche , non diventano  acquisizione culturale   e  traduzione trasformativa.
Per lo più, ad ogni emergenza che l’attualità ci mette sotto il naso, il ricorso a soluzioni straordinarie ci appare  come  l’unico modo operativo, un modo che in fondo rimuove il problema e consegna ad altri la sua soluzione.  
Che si tratti di una difficile eredità non c’è dubbio, tanto difficile che non siamo stati in grado di accettarla e poi iniziare a trasformarla. La riqualificazione della periferia costruita dal secondo dopoguerra è infatti un compito che la politica prima di tutto non ha saputo  e voluto fare. Un laissez faire selvaggio dell’edilizia privata e un intervento pubblico ingessato e strozzato hanno sconvolto il sogno moderno della nuova città futura. L’hanno frantumato, spezzettato, quasi annullato, rendendolo irriconoscibile e qualche volta un incubo per gli stessi abitanti.
Ma la politica  urbanistica , questa si  veramente  fallimentare ,  sta in buona compagnia con architetti  spesso irresponsabilmente creativi  e con imprese edili poco controllate.
Oggi, che la città futura è sotto i nostri occhi e non è una bella città, dobbiamo puntare sui giovani e sugli anziani per sperare in un prossimo imprescindibile cambiamento di tanta bruttezza.  Per questo ritengo che il tema di attualità dato sia un importante segnale per un invito a riflettere sulla nostra condizione urbana moderna, complessa e contraddittoria al tempo stesso.
In fondo non è molto tempo fa, alla Triennale di Milano del 1960, che si celebravano e si criticavano le realizzazioni dei quartieri Ina casa del piano Fanfani. Era ancora un tempo dove gli architetti e urbanisti italiani s’interrogavano sulla periferia in costruzione e sui suoi pregi e difetti, dando soluzioni per migliorarla; ma il sogno della modernità italiana non era ancora compromesso e resistette  per altri dieci anni,  almeno fino agli anni settanta.  
Altre nazioni, più moderne e con una politica urbanistica più incisiva della nostra, procedevano speditamente a realizzare la nuova città in periferia: Svezia, Inghilterra, Olanda, e non creavano né ghetti né degrado.
Paradossalmente i nostri bei centri storici hanno svolto un ruolo negativo nel pensare la periferia. Sembrava possibile a molti proporre per essa delle qualità analoghe che ci venivano dalla storia: piazze, mercatino, uffici comunali, pedonalità. Ma era solo un mito che alimentava aspettative sociali, ipotecava buone soluzioni residenziali e che non poteva essere raggiunto.
Bisognava  forse evitare le forme  del passato,  rielaborare la tradizione e aggiungere  il meglio della modernità: verde , varietà tipologica ed edifici alti,  abbondanza di balconi e terrazze,  trasporti pubblici.
Oggi, ai giovani che abitano queste contrade periferiche, è chiara la marginalità e la specificità  dei caratteri dei loro luoghi. Se ne debbono fare carico e imparare a  “ curare” la fragilità delle loro terre. 
Giovani e anziani sono le sole forze che, accettando questa pesante eredità del passato, possono farsi carico di riannodare i fili delle relazioni sociali e creare una trasformazione positiva.

Una nuova educazione civica nella formazione dei giovani e una sostenuta organizzazione del tempo libero degli anziani possono produrre risultati incredibili che sono assolutamente impossibili per noi che non siamo né giovani né anziani.  La politica seguirà.  
Repubblica Napoli  24.6.2014