Non essendo più possibile prevedere un’edilizia pubblica per mancanza storica di finanziamenti governativi (a meno di benvenute sorprese politiche) ci dobbiamo rassegnare a pensare che il futuro degli alloggi sociali italiani sarà tutto nelle mani dei privati. Abbandonato anche ogni proposito significativo di riqualificare i quartieri di edilizia pubblica, la costruzione di nuovi alloggi privati sociali sarà l’unica prospettiva possibile per dare un tetto a fasce di basso reddito, giovani coppie, anziani , sfrattati e single.
Mentre quindi il patrimonio pubblico sarà via via dismesso o rottamato, la nuova edilizia sociale privata dovrà garantire un’equa redditività, molto diversa da quella popolare (si parla del 3% al netto dell’inflazione). Ciò significa che gli alloggi sociali avranno un affitto più basso del 30% di quelli liberi, ma significativamente più alto di quelli popolari. Da 100 euro/mese si passerà a 400 euro/ mese per un alloggio medio.
E’ questo lo scenario che emerge analizzando le prospettive delle politiche nazionali del Piano Casa, dei Fondi investimenti per l’abitare (FIA) e dalle politiche delle Aziende Casa (ex Iacp), in parte discusse anche in un recente convegno della Federcasa (associazione degli Iacp nazionali) e dello Iacp napoletano.
In questo quadro nazionale ci sono però alcune differenze regionali significative che vanno marcate . La prima è che i fondi immobiliari sono già all’opera con cantieri aperti in molte realtà del Nord mentre non sono ancora operativi al Sud (Acen e Fondazione Banco Napoli ci stanno provando).
La seconda è che mentre sul piano nazionale il Piano Casa è stato una totale delusione attivando pochissimi capitali privati, al sud e in particolare in Campania si è registrato un picco incredibile d’interesse che ha mobilitato proposte private pari al 60% dell’intera offerta nazionale (1,5 mld contro 2,5 mld totali).
Non conoscendo i dettagli, il cosa e il come , delle proposte campane non possiamo avanzare spiegazioni su questo fenomeno in controtendenza nazionale, la cui validazione è affidata alla Regione. Vorremmo però fare qualche utile riflessione.
La fame di case in Campania ha raggiunto cifre a cinque zeri e non esiste nelle città e massimamente a Napoli, un’offerta di affitto a prezzi ragionevoli. A Napoli la casa di proprietà è posseduta da appena il 50% della popolazione contro una media nazionale del 70% e, per quanto si conosce, non sono stati aperti nuovi cantieri per alloggi sociali né da parte del Comune né da parte dello IACP napoletano. Quelle tre o quattro centinaia di alloggi attualmente in costruzione sono il prodotto di vecchi finanziamenti e accordi , il resto sono per ora annunci.
Finanziamenti nuovi, infatti, non sono stati attivati nonostante la dismissione del patrimonio di edilizia pubblica che sta portando decine di milioni nelle casse dello IACP e anche in quelle Comunali. Ma tali nuovi soldi non sono ancora diventati investimenti in nuova edilizia o in acquisto di terreni, come invece sarebbe altamente auspicabile fare.
La prospettiva del Piano Casa in Campania, ammesso che le offerte private prodotte si tramutino tutte in edilizia, è quella di realizzare 7000 nuovi alloggi, di cui 1750 nella sola Napoli (di cui 800 alloggi sociali e 900 in vendita a libero mercato o mercato convenzionato).
L’attrazione dei capitali privati si è basata su una deregulation allettante che consente aumenti di cubature dal 20 al 35 %, cambio di destinazioni d’uso, possibilità di intervenire nei centri storici, abbattimento e ricostruzione di edifici pubblici in aree degradate con aumenti del 50%, configurando un intervento complessivo in grado di sconvolgere la pianificazione comunale. Tale deregulation sembra animata più da una voglia quantitativa che qualitativa, da una cultura dell’emergenza che ricorda quella praticata a Napoli nel dopoguerra “rimuovere ogni regola urbanistica ed edilizia per consentire di costruire comunque e dovunque”.
Molta attenzione è richiesta dalle norme del Piano casa ai progetti presentati per gli aspetti energetico-ambientali come è giusto fare ma pochissima attenzione viene richiesta per la qualità architettonica ed urbana, la vivibilità, gli spazi di relazione, il rispetto del contesto e del paesaggio, il verde. Ciò è tanto più importante per quelle proposte di riqualificazione urbana di aree degradate, dove viene concesso un aumento di cubatura del 50% senza distinzione per le diverse parti di città dove sono collocate e senza precisare come l’aumento di cubatura deve essere conseguito: in altezza oppure occupando suolo libero.
Niente da obiettare sul tipo d’intervento “demolizione e densificazione”in aree periferiche, a patto che non venga consumato nuovo suolo urbano e reggano le infrastrutture al contorno. Ma non si può dire la stessa cosa per gli interventi nelle parti di città consolidata dove l’alterazione negativa del contesto, per aumenti di cubatura cosi elevati, è assai probabile.
Tra le proposte di riqualificazione di quartieri pubblici degradati avanzate dallo Iacp napoletano per il Piano Casa, ce ne sono alcune, poste in aree di città consolidata, che destano forti perplessità circa le conseguenze sugli intorni edilizi e paesaggistici esistenti, come a Largo Volpicelli, nel rione Amendola o al S.Francesco. Sorprende il silenzio sul Piano Casa da parte del Comune e il suo scontato e insufficiente richiamo al rispetto delle norme del PRG.
C’è in verità bisogno di una larga partecipazione e sinergia tra istituzioni e cittadini per discutere temi da troppo tempo lasciati peggiorare. Servono prospettive sui modi di affrontare il drammatico bisogno di case che al sud, incredibilmente, sembra superare in urgenza anche quello del bisogno di lavoro.
Repubblica , Napoli, 31.1.2012